20 dic 2015

iqbal, bambini senza paura: la storia vera del ragazzino simbolo della lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile

Da sabato 19 dicembre 2015 è in programmazione al Cinema Beltrade di Milano il film di animazione "IQBAL - BAMBINI SENZA PAURA" di Michel Fuzellier, Babak Payami. Lunedì 21 dicembre alle ore 18.10 proiezione speciale alla presenza del regista Michel Fuzellier. 

Iqbal Masih nacque nel 1983 in una famiglia molto povera. A quattro anni fu venduto dal padre per pagare un debito di 12 dollari a un venditore di tappeti.  Iqbal inizia a lavorare per più di dodici ore al giorno. E' uno dei tanti bambini che tessono tappeti in Pakistan; le loro piccole mani sono abili e veloci, i loro salari ridicoli, e poi i bambini non protestano e possono essere puniti più facilmente. 
Un giorno del 1992 Iqbal e altri bambini escono di nascosto dalla fabbrica di tappeti per assistere alla celebrazione della giornata della libertà organizzata dal Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato (BLLF). Forse per la prima volta Iqbal sente parlare di diritti e dei bambini che vivono in condizione di schiavitù. Spontaneamente decide di raccontare la sua storia: il suo improvvisato discorso fa scalpore e nei giorni successivi viene pubblicato dai giornali locali. In breve il ragazzino diviene un simbolo della lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile.
Grazie a Iqbal, le autorità pakistane presero una serie di provvedimenti a tutela del lavoro minorile, tra cui la chiusura di decine di fabbriche di tappeti.
Mori in circostanze mai del tutto chiarite nel 1995, all'età di dodici anni.

IL FILM - Iqbal è un ragazzino che vive in un villaggio in qualche parte del mondo ed ha imparato l'arte di annodare i tappeti con i raffinatissimi nodi detti Bangapur. Un giorno, per poter comprare le medicine al fratello ammalato di polmonite si lascia abbindolare da Hakeem, un viscido imbroglione che si offre di comprargli le medicine in cambio della realizzazione di un tappeto per il suo amico Guzman. In realtà Iqbal viene venduto all'uomo che, con la moglie, ha messo in piedi una produzione clandestina di tappeti in cui fa lavorare come schiavi bambini che non potranno mai più tornare alle loro case. Iqbal però non ha intenzione di fare quella fine.
Uno dei più importanti registi nel campo dell'animazione come Michel Fuzellier e un autore e produttore iraniano di valore come Babak Payami hanno unito le loro forze per portare sullo schermo la vicenda reale di Iqbal Masih, bambino pakistano che è divenuto il simbolo della lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile in ogni parte del mondo. Il film non ha la pretesa di essere un biopic perché qui lo sguardo si allarga a proporre la lettura di una condizione di sottosviluppo che non convinca i già convinti ma proponga ai bambini spettatori una riflessione senza traumi ma anche senza nascondere loro la realtà.
Il grande pregio di questo lungometraggio, che dovrebbe essere mostrato al numero più ampio possibile di coetanei del protagonista, è quello di affrontare temi importanti ad altezza di sguardo di bambino. Perché se il tema di fondo è quello dello sfruttamento del lavoro minorile in condizioni di schiavitù, entrano in gioco anche l'emigrazione, la corruzione di chi dovrebbe essere preposto a salvaguardare la legalità nonché le responsabilità degli occidentali che comprano prodotti senza minimamente preoccuparsi di sapere (oppure sapendolo ma voltando la testa dall'altra parte) da chi e come siano stati realizzati.
La scelta di un doppio stile di grafica (le vicende di Iqbal e dei suoi compagni di lavoro e i suoi sogni) potenzia poi la narrazione offrendo un caleidoscopio onirico ricco di fantasia. Viviamo in tempi in cui l'amministratore delegato di Air France-Klm Alexandre de Juniac dinanzi a una platea formata da manager, uomini d'affari e diplomatici nel dicembre 2014 afferma "Come si fa a dire chi è un bambino, visto che un tempo il divieto era ai minori di otto anni, poi è passato a dodici e poi a sedici?", arrivando a chiedersi se sia giusto o meno non farli lavorare (il video è sul web). Questo film non è solo utile ma qualcosa di più: è necessario.
 

(Giancarlo Zappoli, Mymovies.it)

2015, aylan e i suoi fratelli


16 dic 2015

zen 2, i bambini a scuola di street art, un murales come antidoto alla violenza (di alessia rotolo)

Educare alla bellezza come antidoto alla bruttura e la violenza visiva dei casermoni dello Zen 2. Questa la ricetta che l'associazione Laboratorio Zen Insieme ha deciso di adottare con i bambini e i ragazzi del quartiere. Un percorso di studio durato due mesi che li ha portati a realizzare un murales all'esterno dei locali per molti anni utilizzati dall'associazione di volontariato. Questi spazi dovrebbero tornare presto fruibili e, attualmente, l'ente si appoggia ad altre strutture come la scuola o luoghi affidati ad altri gruppi. Durante i due mesi di laboratorio, i venti ragazzi tra i 5 e i 12 anni coinvolti nel progetto hanno studiato la street art, dalle tecniche di base agli artisti più famosi, e hanno realizzato diversi disegni.
«Il gruppo che si è formato - spiega Bruno Buffa, operatore dell'associazione e urbanista - si è concentrato sugli alberi, sull'importanza delle radici, quindi in relazione al contesto dove si nasce e si cresce. Abbiamo utilizzato i disegni che sono venuti fuori dai ragazzi durante il laboratorio e li abbiamo realizzati sui muri». Il progetto è stato sostenuto dall'8 per mille della Tavola Valdese e dal Cisp (Comitato internazionale sviluppo dei popoli) e comprende anche attività sartoriali e sportive. «Il lavoro sull'arte e la bellezza è molto importante in un quartiere come questo - spiega Mariangela Di Ganci, presidente dell'associazione - la bruttura e la violenza architettonica del contesto in cui vivono influisce e si ripercuote inevitabilmente sulle loro vite e sul loro agire quotidiano».
Il murales sarà completo entro la fine di dicembre e i bambini «ci tengono che sia il più colorato possibile. Mi è piaciuto molto il coinvolgimento dei piccoli che sentono il murales come una cosa loro - spiega Giordana Francia del Cisp - ma anche delle loro famiglie. Dare ai ragazzi la consapevolezza di poter migliorare il contesto in cui vivono, di poter incidere sulla realtà che li circonda, è una cosa importantissima. Un processo di cittadinanza attiva che non dimenticheranno - conclude - un bagaglio che si porteranno sempre dietro nel loro percorso di crescita».
Alessia Rotolo, MeridioNews, 12 dicembre 2015
http://palermo.meridionews.it/articolo/38965/zen-2-i-bambini-a-scuola-di-street-art-un-murales-come-antidoto-alla-violenza/

Street art, dipingiamo insieme il quartiere
http://www.zeninsieme.it/street-art-dipingiamo-insieme-il-quartiere/

scuole d’italiano per stranieri, una realtà consolidata, ma quando sono nate?

Solo a Milano, le scuole d’italiano per stranieri, sono più di 100 fra pubbliche, private, associazioni, parrocchie. A Roma, quelle del circuito “Scuolemigranti”, sono circa 90, e lo scorso anno hanno servito un’utenza di 13.000 persone. I numeri dunque ci parlano di una realtà ormai consolidata, che se pur ignorata completamente dalle istituzioni, prova a fare rete autoregolamentandosi, in paticolar modo nelle grandi città.

Ma quando sono nate le scuole d’italiano per stranieri? E, soprattutto, come? Il fenomeno è relativamente recente, è esploso negli ultimi 10 o 15 anni, quando l’Italia è stata investita da ondate migratorie sempre più consistenti, ed è sorta la necessità di insegnare almeno i rudimenti della nostra lingua ai nuovi arrivati.

Il “come” invece ha del mitologico. I corsi per i migranti all’inizio, furono gli stessi pensati per l’alfabetizzazione degli operai delle grandi fabbriche di Sesto San Giovanni e Milano. Tali corsi a loro volta furono istituiti grazie alle lotte dei metalmeccanici degli anni ’70, che nel loro contratto riuscirono a inserire il diritto a 150 ore di studio pagato dall’azienda, per chi avesse voluto.

Per capire meglio il collegamento fra le lotte degli operai degli anni ’70 e le scuole d’italiano per stranieri di oggi, ne abbiamo parlato con chi le tappe di questo percorso le ha vissute tutte, sempre in prima linea. Annita Veneri, professoressa oggi in pensione, ha insegnato italiano per più di 30 anni. Lei e i suoi colleghi di allora possono essere considerati i pionieri di una disciplina che in Italia ancora non esisteva, e alla quale oggi si dedicano master e corsi universitari. La sua storia parte da Sesto San Giovanni, appena fuori Milano, è il 1980.

“A Sesto c’erano fra le più grosse fabbriche di metallurgia pesante d’Italia, la Breda, la Falk, la Magneti Marelli, e, ovviamente, decine di migliaia di operai che ci lavorano. Io insegnavo a Milano, ero docente di ruolo, poi alcuni amici del sindacato ci fecero sapere che stavano partendo questi nuovi corsi e decisi di spostarmi. Lo feci perché mi andava di fare una nuova esperienza, a Sesto c’erano le fabbriche, gli operai, dunque fu una scelta di frontiera”.

In che situazione ti sei ritrovata?
“Già dal 1974 esistevano per gli operai i corsi per il conseguimento della licenza media. Tuttavia durante i periodi di ristrutturazione di fabbriche e macchinari, ci si rese conto che molti lavoratori chiamati a formarsi attraverso i manuali distribuiti, dimostravano di non sapere ne leggere ne scrivere. Con ordinanza ministeriale dunque, dall’anno 1980-81, si aggiunsero i corsi di alfabetizzazione e quelli per il conseguimento della licenza elementare. I miei studenti erano prevalentemente operai del Sud, eccezion fatta per qualche veneto. Oltre a questi, essendo la frequenza dei corsi aperta a tutti, avevo in classe casalinghe, pensionati, e qualche ragazzo e ragazza delle comunità per minori della zona. Non era facile e serviva non poca pazienza per far convivere storie così diverse”.

La gente ci veniva volentieri o dovevate convincerla?
“C’era un numero minimo per la formazione di ogni classe, 10 persone. Spesso si aveva difficoltà a metterle insieme, non per la pigrizia degli operai, ma perché venire a quei corsi voleva dire ammettere pubblicamente di essere analfabeti. Tuttavia frequentarli era vantaggioso. Il corso durava in tutto 300 ore di cui 150 pagate dall’azienda e considerato che già in quegli anni si avvertiva che quel mondo, quello della grande fabbrica, stava finendo, appariva saggio affrontare possibili riconversioni con una licenza elementare in tasca. Facevamo lezione in scuole primarie o in sedi comunali varie, ogni giorno, per 4 volte a settimana, mentre il venerdì noi insegnanti ci occupavamo della programmazione”.

Poi le classi hanno iniziato ad essere frequentate da stranieri, quando?
“Da me a Sesto, per avere una presenza apprezzabile si è dovuta aspettare la fine degli anni ’80, quando è iniziato il periodo dei ricongiungimenti familiari, mentre in centro a Milano fin da subito, ’82-’83. La mia prima alunna straniera, la ricordo perfettamente, è arrivata nell’anno scolastico 1983-1984 ed era marocchina, sposata con un italiano. Faceva la portinaia a Sesto e non sapeva leggere i cognomi sulle lettere o sulle caselle di posta, dunque si iscrisse. A Milano invece i corsi come i miei si tenevano in via Crocefisso, in pieno centro, dove quindi vivevano ben pochi operai. Le lezioni iniziarono ad essere frequentate da un gruppo di eritree tutte collaboratrici domestiche delle famiglie benestanti residenti in zona. Sento di poter dire che questa fu la prima classe di Milano, dunque fra le prime d’Italia, con una prevalenza d’immigrati”.

Tu quando sei passata poi a Milano?
“Io sono tornata a lavorare a Milano nel 1990. A Sesto molte fabbriche avevano chiuso, la popolazione operaia si era ridotta di decine di migliaia di persone, intanto a Milano era partito qualche anno prima un progetto sperimentale al liceo Volta che m’incuriosiva molto. Si trattava di classi composte solo da stranieri dove oltre all’insegnante c’era un madrelingua, scelto in base alla lingua prevalente fra gli studenti. Questo era pagato dal comune, e faceva da tutor di classe. C’era un corso la mattina, il giovedì, che era il giorno libero delle donne eritree e gli altri corsi il pomeriggio divisi per livelli: dalle 15:00 alle 17:00 e dalle 17:30 alle 19:30. Quegli anni furono importanti anche per la sperimentazione didattica. Ruolo fondamentale lo ebbe l’IRRSAE Lombardia. Lì noi insegnanti facevamo formazione, condividevamo materiale, e proprio quell’istituto pubblicò nel 1988 forse il primo testo d’italiano per adulti. Si intitolava “Leggere per fare… informarsi… decidere… cambiare”, a cura di Graziella Favaro e alla cui stesura, oltre a me, parteciparono Bettinelli, Piccardi e De Vito.

Che ricordi hai di quegli anni?
“A parte le classi dei cinesi che erano monoetniche per via della particolarità della loro lingua, tutte le altre erano estremamente eterogenee. Avevo brasiliani, cingalesi, mauriziani, somali, turchi, iraniani, oltre a egiziani e senegalesi che erano i più numerosi. Capitavano le cose più bizzarre. Ricordo un gruppo di ragazzi di Asyut, assolutamente non scolarizzati, che non avevano idea di come si tenesse il materiale didattico e a fine lezione appallottolavano i fogli che avevo distribuito e li conservavano in tasca. Una volta invece stavo parlando del Ramadan e un signore egiziano, che faceva l’usciere al consolato del suo paese, sbatté il libro sul banco urlandomi che non avevo il diritto di nominare il Ramadan visto che ero cristiana. Bei ricordi invece sono quelli legati alle cene che io e una collega prendemmo l’abitudine di organizzare. Ognuno preparava qualcosa e la portava, anche noi insegnanti, questo diminuiva la distanza fra noi e loro ed era importante perché i ragazzi socializzassero fra, si creavano bei momenti”.

Dopodiché il fenomeno delle scuole d’italiano è esploso.
“Sì, fra fine anni ’90 e 2000. Io personalmente nel 2000 ho contribuito, assieme ad altri, all’esperienza di “Casa di tutti i Colori”, una delle prime scuole dotate di asilo nido in cui le mamme iscritte ai corsi potessero lasciare i loro figli. Dal 2007 in poi sono passata all’IBVA di via Calatafimi, sempre a Milano, e ci sono rimasta negli ultimi anni. Insomma, questo è tutto”.

Una storia che merita di essere raccontata.
“Già. Ultimamente sono stata al Carroponte [il posto a Sesto San Giovanni dove sorgeva la Breda, oggi spazio eventi, nonché uno dei massimi esempi di archeologia industriale, ndr] mi sono tornati in mente tanti di quei ricordi. Fra i miei studenti c’era un siciliano, baffi enormi e neri che veniva a scuola ogni giorno con abito gessato e scarpe nere di vernice. Finiva di lavorare, correva a casa a cambiarsi e poi a scuola. Oppure un altro, lui operaio, ma i fratelli tutti pescivendoli a Sesto, che esordiva nei suoi discorsi dicendo “noi siamo 7 fratelli, tutti e sette alfabeti”, era il suo biglietto da visita. È stato un periodo a suo modo importante, sono contenta di averlo vissuto”.



Andrea Colasuonno, 12/12/2015
http://www.qcodemag.it/2015/12/12/scuole-ditaliano-per-stranieri/

14 dic 2015

una stella ad abbiategrasso

Dopo Modena, ecco che ad Abbiategrasso (Milano) arriva puntuale il comunicato della Lega Nord contro la canzone “Una Stella a Betlemme”, contro il dirigente scolastico Dott. Vittorio Ciocca e contro tutti gli organismi scolastici che hanno scelto questa canzone presentata nel 2004 alla 47^ edizione dello Zecchino d’Oro, piazzandosi al secondo posto dietro “Il gatto puzzolone” [leggi il comunicato].
Nel lontano 2004 la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania (che vedeva Maroni ministro del Lavoro e Castelli ministro della Giustizia del Governo Berlusconi, e Salvini all’Europarlamento a rappresentare la cultura padana) non si avvedeva che la nota rassegna canora per bambini trasmessa dalla Rai in mondovisione stava in realtà preparando il terreno all’invasione, con le parole criptate nel testo cantato dal piccolo Milad Nicola Elias Fatouleh: “Ma se guardo il cielo, Quella stella splende d’amore, Sempre di più splende lassù, Salam o mia città, Salam la mia realtà, Salam io ti amerò, Salam ritornerò” [il video originale].
Dopo che per 11 anni la canzone è stata ripetutamente cantata da migliaia di bambini in tutte le scuole italiane, i “padroni a casa nostra” hanno decifrato la pericolosità del messaggio di questa melodia dal sapore mediorientale e promettono crociate. Per la difesa delle nostre tradizioni, dei nostri simboli, dei nostri accordi musicali…
Ma quanto si deve cadere in basso per cercare di mantenere e coltivare quel consenso elettorale che si era perso in seguito alle pessime prove al governo, ai diamanti stipati, a Credieuronord e alle lauree comprate?
Mio figlio è uno di quei bambini della Scuola Primaria Umberto e Margherita di Savoia che ad Abbiategrasso canteranno “Una Stella a Betlemme”. E canteranno anche “White Christmas”, “Come un pittore” dei Modà, “Basta poco” di Vasco, “Non basta un sorriso” di Povia e tante altre. Le canteranno con la gioia, l’allegria e la passione dei loro nove anni. Nove anni che meritano rispetto. Il vostro rispetto. Perché qui, gli unici a turbare la voglia di pace e di serenità del Natale siete voi con le vostre urla e le vostre sceneggiate, già udite e viste in TV e davanti ad altre scuole del milanese (Rozzano), con la vostra intolleranza, la vostra voglia di bava alla bozza, lontana anni luce dall’insegnamento di Cristo. Voi che non perdete occasione per alimentare polemiche, fomentare odio e strumentalizzare tutto. Persino una canzoncina dei bambini. Voi che siete solo capaci di gridare “Ruspa!” e che in realtà state solo scavando solchi e fossati.
Predicate il presepe perfetto, il vostro leader si traveste da uno dei tre Re Magi, ma vi da fastidio “Una Stella a Betlemme”.
Ma dove credete che sia nato Gesù Bambino? A Pontida?
Salam!

Domenico Finiguerra
14 dicembre 2015

fonte: http://www.ticinonotizie.it/abbiategrasso-natale-e-canti-multietnici-2-finiguerra-attacca-la-lega/

11 dic 2015

presentazione del libro "fuori, suggestioni nell’incontro tra educazione e natura"

Lunedi 14 dicembre 2015 alle 17:00 siamo tutti invitati alla presentazione del libro "Fuori – Suggestioni nell’incontro tra educazione e natura".
Il testo si propone di offrire alcune suggestioni sul rapporto tra bambini e natura e sulle sue potenzialità educative e didattiche. La discussione è affidata al contributo di pedagogisti, educatori, studiosi ed esperti di differenti ambiti disciplinari che, a partire da una parola chiave, propongono un approfondimento dal proprio osservatorio di ricerca ed esperienza, esplorando le molte possibilità che il binomio educazione-natura offre.
Tra i tanti autori, tre nostri amici, Gianni Manfredini (aka Babbocanguro), Renato Casagrandi ed Emilio Bertoncini. E poi Alex Corlazzoli, Tiziano Fratus e molti altri, venti in tutto.
La presentazione si terrà al MUBA-Museo dei Bambini (ovvero alla Rotonda della Besana, via Enrico Besana 12, 20122 Milano).

https://www.facebook.com/librofuori/

 
Sai quanti semi vengono sputacchiati al posto sbagliato? Oppure in un posto che andrebbe bene, ma dove c’è già qualcuno più vecchio di loro che si è fatto strada? Tipo sotto la mamma... roba che, se ci cresci sotto, la mamma ti ombreggia e ti fa secco! Oppure in posti così prevedibili o po- tenzialmente adatti che i patogeni e i mangiatori di semi lo sanno che a loro piacciono. E allora li aspettano al varco e PUM, li fanno secchi prima ancora che i germogli vedano la luce fuori dalla terra. L’esercito dei semi deve essere nutrito, perché sono pochissimi i soldati che ce la faranno.  
Renato Casagrandi e Gianni Manfredini, Fuori, 2015

Un’immagine comunissima nei boschi: decine, centinaia, a volte migliaia di giovani piante che nascono dove c’è spazio al massimo per due-tre di loro. Quello che accade è quasi follia, ma il risultato del sogno di ognuna di quelle piccole piante è una bellissima foresta. Una foresta che dà nutrimento a molti organismi, da quelli invisibili a piante alte decine di metri, da piccolissimi insetti a grandi mammiferi. E quando i nostri passi la attraverseranno sarà il nostro senso del bello, se ben nutrito, a saperne apprezzare la maestosità.
Emilio Bertoncini, Fuori, 2015

il ragazzino che in india fa il maestro ai coetani poveri e sfruttati

Questa è la storia (vera) di un bambino indiano, Anand, di 11 anni che tutti i giorni va a scuola. Come ogni bambino di 11 anni, tornando da scuola potrebbe voler guardare i cartoni animati o giocare con i suoi amici. Lui invece, dopo la scuola, fa il maestro.
Il ragazzino, come racconta Indiatimes.com, vive nel distretto indiano di Lucknow, a Sud Est di Nuova Delhi. La sua famiglia appartiene alla classe media e Anand può frequentare la scuola, mentre la maggior parte dei bambini della sua età vive nelle bidonville ed è costretta al lavoro minorile. Un giorno, durante una gita nei pressi di Bombai con la sua famiglia, vede un bambino che legge alla luce di un lampione da strada, vicino a una moschea: quando nella moschea iniziavano i canti, il bambino si precipitava a dirigere il coro; quando finivano, tornava fuori a leggere. “Ci siamo avvicinati per lasciargli qualche moneta”, racconta il padre di Anand al quotidiano la Stampa ”ma lui ha rifiutato. Noi abbiamo insistito per aiutarlo, così ci ha chiesto di procurargli piuttosto dei libri, che abbiamo comprato in un negozio lì vicino”.
Questo episodio segna il piccolo, che da quel giorno, ogni pomeriggio va nella bidonville del suo villaggio e insegna ai bambini informatica, matematica e inglese. Ha iniziato coinvolgendo i bambini con storie interessanti e giochi, per non farli annoiare e trasmettere loro il piacere di imparare. Adesso Anand ha circa 100 alunni che lo seguono ogni giorno.
Ogni lezione si chiude con l’inno nazionale che tutti i bambini devono imparare e cantare: “Credo che li aiuti ad acquisire consapevolezza del proprio ruolo nella società e a crescere come cittadini responsabili”, dice Anand.

Ma i progetti del piccolo “Chota Masterji”, come lo chiamano i suoi alunni, non si fermano qui: Anand vorrebbe aprire alcune librerie nel villaggio, coinvolgendo le famiglie benestanti della zona. Insieme ai suoi genitori ha inoltre organizzato una campagna che invita i membri della società acculturata a finanziare l’educazione scolastica di un bambino. Sulla stessa linea anche il programma di educazione dedicato alle bambine provenienti dalle famiglie povere. La speranza di A. è che con piccoli passi come questo, l’India diventi presto un paese alfabetizzato e ricco.
fonte: http://www.illibraio.it/piccolo-grande-maestro-india-266268/ (6/12/2015)

L’articolo da Indiatimes.com:
Meet The 11-YO Who Teaches Over A 100 Students After School. His Pupils Call Him ‘Chota Masterji’
At his age, the first thing any school kid would immediately do after returning from school, would be watching cartoons or playing games. But, not for 11-year-old Anand Krishna Mishra from Lucknow. He rushes for his second school of the day, where he is actually a teacher. He teaches around 100 students from nearby villages through ‘Bal Choupals’ every day at five in the evening. His students call Anand ‘Chota Masterji’. The class include regular lessons form both textbooks and lessons on moral studies. The daily exercise starts with singing ‘Hum Hone Kaamyaab’ and ends with the National Anthem. The Class VII student who was honoured with the Satyapath Bal Ratan award and Seva Ratna awards for his service, said his inspiration for starting the initiative was a Mumbai trip where he saw a boy studying under a street light. If his works so far weren’t impressive enough, Anand is now on with his efforts to set up libraries for the lesser privileged with the help of local authorities.

L’articolo dal quotidiano la Stampa [clicca qui]

bidelli e supplenti insospettabili: la 'ndrangheta entra nelle scuole milanesi

La denuncia viene da Nando Dalla Chiesa, presidente del Comitato antimafia. Chiamato dalla Commissione Speciale Antimafia del Consiglio Regionale della Lombardia per parlare delle infiltrazioni nel sistema sanitario lombardo, ha rivelato anche questo aspetto finora inedito della criminalità organizzata

MILANO - La 'ndrangheta sta cercando di infiltrarsi nelle scuole, private e pubbliche, di Milano e Lombardia. E nelle università. Lo fa piazzando qualche bidello o supplente all'apparenza insospettabili. La denuncia viene da Nando Dalla Chiesa, presidente del Comitato antimafia di Milano. Chiamato dalla Commissione antimafia del Consiglio regionale per parlare delle infiltrazioni nel sistema sanitario lombardo, ha rivelato anche questo aspetto finora inedito della criminalità organizzata. "Mi è stato confidato da alcuni insegnanti e dirigenti, di più non posso dire". E aggiunge, amaramente: "Si fanno incontri nelle scuole per educare i ragazzi a denunciare gli atti di bullismo, ma poi i docenti non hanno il coraggio di sottoscrivere una denuncia contro la 'ndrangheta". Ma perché le cosche sono ora interessate alle scuole? "Ci sono molteplici interessi: dalla fornitura di servizi alla gestione dei bar interni. E poi permette un controllo sul mondo dei giovani. Le mafie non mirano solo a fare soldi, ma anche a creare legami, rapporti sociali, connivenze. Hanno una capacità incredibile di penetrare nella società".
La 'ndrangheta ha bisogno di diplomati e laureati. "Un infermiere affiliato che viene assunto in un ospedale è oro per i boss -sottolinea Dalla Chiesa-. Perché permette contatti con l'ambiente medico. Può quindi influenzare perizie in caso di processi ai capi delle cosche, oppure la partecipazione agli appalti". Non solo. Secondo il presidente del Comitato antimafia "la 'ndrangheta sta cercando di allevare medici nelle facoltà lombarde". "C'è il rischio che certi personaggi arrivino alla laurea senza aver mai sostenuto esami. E questo non lo fanno nelle università calabresi dove potrebbero destare sospetti, ma in quelle lombarde". Lo stesso rischio c'è anche negli istituti privati "che permettono il recupero degli anni scolastici delle scuole superiori". La soluzione? "Occorre imparare a ragionare con la stessa mentalità dei boss -sottolinea-. Solo così è possibile riconoscere quando c'è un tentativo di infiltrazione. E vigilare costantemente: sulle assunzioni, sulle richieste o offerte di favori, su come vengono redatti i bandi".
© Copyright Redattore Sociale
10 dicembre 2015
http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/496512/Bidelli-e-supplenti-insospettabili-la-ndrangheta-entra-nelle-scuole-milanesi
 

10 dic 2015

13 dicembre 2015: maratona di lettura dei libri messi all'indice

Ricordate che alcuni mesi fa il Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro aveva messo al bando dai nidi e dalle scuole dell’infanzia della sua città 49 libri di favole illustrate per bambini perché ispirati alla fantomatica teoria gender? Ne parlammo nel nostro post del 16 settembre 2015, in cui abbiamo riportato l’elenco dei libri messi all’indice [clicca qui].

La vicenda di cui il Sindaco Brugnaro è protagonista diventa paradigmatica e tiene insieme, in maniera esemplare, alcuni temi fondamentali: la censura, l’educazione e il sistema pedagogico, la libertà di espressione.
Ma la vicenda diventa se vogliamo un piccolo tassello che si va ad inserire in un quadro più complesso che vede espandersi il movimento in difesa della famiglia tradizionale, le manifestazioni di piazza e i seminari organizzati dai vari Le Manif pour Tous e Sentinelle In piedi, i percorsi nelle scuole sulla parità di genere promossi dai nostri comitati che vengono osteggiati, le paure di tanti comitati di genitori che vengono alimentate dallo spauracchio della teoria gender.
La teoria gender è diventata in questi ultimi mesi una grottesca catena di Sant’Antonio, impastata di banalità e di procurati allarmi a tratti comici, ma non per questo meno pericolosi.
Sullo sfondo si muovono il Family Day, il ddl Cirinnà, il tema dell’omogenitorialità, temi che dividono e determinano confronti aspri nel momento in cui per la prima volta il paese si accinge a colmare l’enorme vuoto normativo sul tema dei diritti civili.
In un momento in cui si alimenta un clima da caccia alle streghe basato sulla disinformazione e sulla paura, crediamo che possa essere compito dell’Arci, che ha sempre fatto delle battaglie civili la sua bandiera, esporsi per denunciare un atto di censura arbitraria e irragionevole, un clima da Inquisizione e un grande passo indietro sul tema della laicità, un arretramento per un sistema scolastico che dovrebbe educare all’uguaglianza, al rispetto delle diversità, al contrasto all’omofobia, alla parità di genere.

Domenica 13 dicembre 2015 l’ARCI organizza in almeno 49 Circoli e Case del Popolo (tanti quanti sono i libri censurati) letture corali delle favole tese a denunciare l’arretratezza di chi pone dei libri all’indice, ma anche a rappresentare il fare insieme, lo stare insieme per comprendere, per incontrare, per accogliere la diversità. Una lettura corale che vuole aprire un dibattito sulla cultura e la libertà di espressione. Un momento di denuncia, di festa e di ironia, di corretta informazione, di formazione e di sensibilizzazione.

L’elenco degli eventi del 13 dicembre 2015 è disponibile a questo link: [clicca qui]

dal sito dell’Arci
 

9 dic 2015

aggiorniamo la lip per vincere il referendum: all’abrogazione della 107 affianchiamo la nostra idea di una scuola davvero buona

Nei lunghi mesi passati siamo stati impegnatissimi nella lunga campagna contro la Pessima scuola.

Per fortuna come bagaglio di viaggio indispensabile per contrastarla – sia nelle scuole che nelle piazze che in Parlamento – avevamo il faro della Lip.

Ora che la Pessima scuola è legge raccoglieremo le firme per abrogarla tramite un referendum.

In questa fase avremo bisogno, ancora e di più, di una nuova Lip che affianchi la nostra lotta “contro” dandole spessore e prospettiva “per”. Solo affiancando la richiesta di cancellazione della “loro” scuola incostituzionale con una diversa idea di scuola di e per tutte e tutti potremo convincere e vincere.

Abbiamo un compito di grande responsabilità, impegno e difficoltà che dobbiamo essere in grado di svolgere e assolvere in tempi rapidi: l’aggiornamento/riscrittura di parti significative della legge “per una Buona scuola DELLA REPUBBLICA” e fare in modo che possa tornare ad essere una nuova “legge di iniziativa popolare”.

I 9 nuclei tematici su cui lavorare ed i referenti (a cui indirizzare una mail per essere inseriti nel/nei gruppi di discussione), sono i seguenti:

  1. Formazione e Valutazione: Eliseo Tambone (Corato) eliseotambone@alice.it , Giorgio Tassinari (Bologna) giorgio.tassinari2@gmail.com, Anna Carminetti annacarminetti@libero.it
  2. Obbligo: Carlo Salmaso (Padova) gioca.salmaso@tin.it
  3. Diritto allo studio, gratuità: Danilo Lampis (Uds) danilolampis93@gmail.com
  4. Biennio unitario: Maria Guagliardito (Palermo) maria.guagliardito.mg@gmail.com
  5. Nidi e infanzia: Luisa Giovagnini (Città di Castelllo): diecincondotta@gmail.com
  6. Autonomia e organi collegiali: Alvaro Belardinelli (Roma): alvaro.belardinelli@alice.it
  7. Sostegno: Cinzia Valentini (Pesaro) cinval7@gmail.com, Daniela Costabile (Lamezia) danielacostabile@gmail.com
  8. Ata: Stefano Stronati (Bracciano) s.stronati@tiscali.it
  9. Laicità: Antonia Sani (Roma) antonia.sani@alice.it, Daniele Angelini (Gorizia) pictorprimero@gmail.com

Ai referenti spetterà il compito di organizzare, gestire e moderare la mailing list del loro gruppo tematico e rendere conto dello stato della discussione in un incontro plenario a gennaio a Napoli. Con l’ottica e l’obiettivo di pervenire infine a conclusioni (possibilmente condivise; viceversa di maggioranza e minoritarie) sotto forma di articoli di legge semplici, chiari e comprensibili da proporre all’approvazione o meno nell’incontro conclusivo “deliberante” all’inizio della primavera.


Ognuno è invitato a partecipare nel modo che riterrà più opportuno:

- entrando a far parte di uno o più gruppi tematici;

- scrivendo al referente;

- entrando a far parte dei Comitati territoriali della Lip;
- pubblicando le proprie proposte nella sezione del sito Lip Scuola.

da http://lipscuola.it/blog/

1 dic 2015

parma cotto (di sergio salamone)

Tra i tanti interventi sull’ignobile messinscena che ha coinvolto il Dirigente dell’ICS Garofani di Rozzano, Marco Parma, proponiamo, oltre al nostro, naturalmente [clicca qui], quello di Sergio Salamone che nell’istituto incriminato ha insegnato. Il professore Salamone è oggi docente presso la scuola Media Pavoni di Milano, chiusa per amianto lo scorso mese di luglio [clicca qui]. Sulla vicenda della Pavoni abbiamo recentemente pubblicato un suo intervento [clicca qui] sul nostro blog unacrepaincomune.



Cari eucarioti,
a Rozzano ho insegnato circa otto anni fa: ricordi bellissimi.
Allora come ora era un paese di cui non si parlava bene. Perché? Perché pieno di emigrati siciliani, calabresi e pugliesi che si diceva facessero parte, nella maggioranza dei casi, di famiglie criminali.
Quindi un luogo che non veniva scelto da nessuno in quanto realtà difficile. Nel mio caso, mi ci mandarono a quel paese, ed io mi ci trovai benissimo. Ragazzini privati di ogni tenerezza che reagivano con rabbia alla dura realtà, ma che dimostravano anche un attaccamento che difficilmente ho ritrovato lungo la strada.

Adesso Rozzano è al centro di una serrata battaglia ideologica contro il preside della scuola primaria Garofani, Marco Parma, reo di aver vietato canti natalizi e presepio e di aver dato ospitalità a Babbo Natale.
Questo è uno di quegli episodi in cui si comprende quanto l’Italia sia lontana da una pur minima idea di Stato laico e di come i soliti avvoltoi della politica sappiano trarre linfa da questi avvenimenti.
Salvini si è presentato con il presepe parlando di come comunichi serenità e accoglienza, ma si era, poco prima presentato a difendere a spada tratta i valori del cristianesimo, Ignazio La Russa, celebre per il suo carattere pacato, accomodante e non violento.
Mariastella Gelmini si è messa a cantare Tu scendi dalle stelle; avrà capito che questa canzone non è dedicata a Silvio Berlusconi?
A coronare il tutto una signora biondo platino ha cominciato a menare a destra e a manca, in una nuova crociata in difesa dei valori evangelici, chiunque si azzardasse ad argomentare a favore della scelta del dirigente scolastico.
Ma entriamo nel merito. Non mi dilungherò sul Babbo Natale in rosso, sponsor della Coca Cola nel mondo.
Il preside avrebbe anche potuto decidere di rimuoverlo e non sarebbe stata una scelta errata.
Ma la decisione di non far eseguire i canti natalizi come tentativo di includere quei ragazzi che in Cristo Figlio di Dio non credono mi pare non faccia una piega.
Sennò potremmo pretendere qualsiasi cosa dai musulmani presenti nel Belpaese: la preghierina al mattino, l’alimentazione forzata a colpi di salame e una religione leggera leggera, così leggera, da non esistere nemmeno.
Chi si scaglia contro l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole non si scoraggi; il tempo non potrà che darci ragione.
Dare ragione a chi?
A chi, come me, crede che, essendo i simboli importanti, il crocifisso andrebbe rimosso dalle scuole proprio per restituirgli quel valore che ormai ha perso perché non più all’origine di una scelta.
Si entra in qualsiasi aula italiana ed eccolo lì, Gesù, rassegnato a dei bambini che nemmeno lo considerano più.
Del resto fa parte ormai “dell’arredamento scolastico”, è come un banco, insomma, una lavagna, un gessetto. E’ assolutamente deprivato di ogni funzione. Tant’è vero che ormai tutti parlano del Messia senza averne minimamente capito la portata filosofica e morale.
O vogliamo veramente credere che sia il Vaticano il prosieguo di tanto amore? O Forza Italia? O la Lega Nord? O Renzi? O Grillo?
Suvvia ragazzi non scherziamo …
La scuola deve essere un luogo dove si comincia a pensare senza imposizioni e prepotenze semantiche.
La maggioranza degli italiani (ma poi è forse vero nei fatti?) è cattolica, ma non tutti lo sono.
Libera Chiesa in Libero Stato, così si disse tempo fa.
A Parma, ormai chiaramente cotto, va la mia solidarietà e vicinanza.
A Cristo la mia stima, ma non la mia fede.
A chi usa il Vangelo come una mannaia va il mio disprezzo.
Al Crocefisso, dopo i fatti di questi giorni, suggerirei di fare il consueto scherzetto: andar via dal solito, insensato posto e lasciare scritto:
Torno subito (ma forse non risorgo più)!

Sergio Salamone, 30 Novembre 2015
http://meridionews.it/blog/madadayo/2015/11/30/parma-cotto/