16 dic 2015

scuole d’italiano per stranieri, una realtà consolidata, ma quando sono nate?

Solo a Milano, le scuole d’italiano per stranieri, sono più di 100 fra pubbliche, private, associazioni, parrocchie. A Roma, quelle del circuito “Scuolemigranti”, sono circa 90, e lo scorso anno hanno servito un’utenza di 13.000 persone. I numeri dunque ci parlano di una realtà ormai consolidata, che se pur ignorata completamente dalle istituzioni, prova a fare rete autoregolamentandosi, in paticolar modo nelle grandi città.

Ma quando sono nate le scuole d’italiano per stranieri? E, soprattutto, come? Il fenomeno è relativamente recente, è esploso negli ultimi 10 o 15 anni, quando l’Italia è stata investita da ondate migratorie sempre più consistenti, ed è sorta la necessità di insegnare almeno i rudimenti della nostra lingua ai nuovi arrivati.

Il “come” invece ha del mitologico. I corsi per i migranti all’inizio, furono gli stessi pensati per l’alfabetizzazione degli operai delle grandi fabbriche di Sesto San Giovanni e Milano. Tali corsi a loro volta furono istituiti grazie alle lotte dei metalmeccanici degli anni ’70, che nel loro contratto riuscirono a inserire il diritto a 150 ore di studio pagato dall’azienda, per chi avesse voluto.

Per capire meglio il collegamento fra le lotte degli operai degli anni ’70 e le scuole d’italiano per stranieri di oggi, ne abbiamo parlato con chi le tappe di questo percorso le ha vissute tutte, sempre in prima linea. Annita Veneri, professoressa oggi in pensione, ha insegnato italiano per più di 30 anni. Lei e i suoi colleghi di allora possono essere considerati i pionieri di una disciplina che in Italia ancora non esisteva, e alla quale oggi si dedicano master e corsi universitari. La sua storia parte da Sesto San Giovanni, appena fuori Milano, è il 1980.

“A Sesto c’erano fra le più grosse fabbriche di metallurgia pesante d’Italia, la Breda, la Falk, la Magneti Marelli, e, ovviamente, decine di migliaia di operai che ci lavorano. Io insegnavo a Milano, ero docente di ruolo, poi alcuni amici del sindacato ci fecero sapere che stavano partendo questi nuovi corsi e decisi di spostarmi. Lo feci perché mi andava di fare una nuova esperienza, a Sesto c’erano le fabbriche, gli operai, dunque fu una scelta di frontiera”.

In che situazione ti sei ritrovata?
“Già dal 1974 esistevano per gli operai i corsi per il conseguimento della licenza media. Tuttavia durante i periodi di ristrutturazione di fabbriche e macchinari, ci si rese conto che molti lavoratori chiamati a formarsi attraverso i manuali distribuiti, dimostravano di non sapere ne leggere ne scrivere. Con ordinanza ministeriale dunque, dall’anno 1980-81, si aggiunsero i corsi di alfabetizzazione e quelli per il conseguimento della licenza elementare. I miei studenti erano prevalentemente operai del Sud, eccezion fatta per qualche veneto. Oltre a questi, essendo la frequenza dei corsi aperta a tutti, avevo in classe casalinghe, pensionati, e qualche ragazzo e ragazza delle comunità per minori della zona. Non era facile e serviva non poca pazienza per far convivere storie così diverse”.

La gente ci veniva volentieri o dovevate convincerla?
“C’era un numero minimo per la formazione di ogni classe, 10 persone. Spesso si aveva difficoltà a metterle insieme, non per la pigrizia degli operai, ma perché venire a quei corsi voleva dire ammettere pubblicamente di essere analfabeti. Tuttavia frequentarli era vantaggioso. Il corso durava in tutto 300 ore di cui 150 pagate dall’azienda e considerato che già in quegli anni si avvertiva che quel mondo, quello della grande fabbrica, stava finendo, appariva saggio affrontare possibili riconversioni con una licenza elementare in tasca. Facevamo lezione in scuole primarie o in sedi comunali varie, ogni giorno, per 4 volte a settimana, mentre il venerdì noi insegnanti ci occupavamo della programmazione”.

Poi le classi hanno iniziato ad essere frequentate da stranieri, quando?
“Da me a Sesto, per avere una presenza apprezzabile si è dovuta aspettare la fine degli anni ’80, quando è iniziato il periodo dei ricongiungimenti familiari, mentre in centro a Milano fin da subito, ’82-’83. La mia prima alunna straniera, la ricordo perfettamente, è arrivata nell’anno scolastico 1983-1984 ed era marocchina, sposata con un italiano. Faceva la portinaia a Sesto e non sapeva leggere i cognomi sulle lettere o sulle caselle di posta, dunque si iscrisse. A Milano invece i corsi come i miei si tenevano in via Crocefisso, in pieno centro, dove quindi vivevano ben pochi operai. Le lezioni iniziarono ad essere frequentate da un gruppo di eritree tutte collaboratrici domestiche delle famiglie benestanti residenti in zona. Sento di poter dire che questa fu la prima classe di Milano, dunque fra le prime d’Italia, con una prevalenza d’immigrati”.

Tu quando sei passata poi a Milano?
“Io sono tornata a lavorare a Milano nel 1990. A Sesto molte fabbriche avevano chiuso, la popolazione operaia si era ridotta di decine di migliaia di persone, intanto a Milano era partito qualche anno prima un progetto sperimentale al liceo Volta che m’incuriosiva molto. Si trattava di classi composte solo da stranieri dove oltre all’insegnante c’era un madrelingua, scelto in base alla lingua prevalente fra gli studenti. Questo era pagato dal comune, e faceva da tutor di classe. C’era un corso la mattina, il giovedì, che era il giorno libero delle donne eritree e gli altri corsi il pomeriggio divisi per livelli: dalle 15:00 alle 17:00 e dalle 17:30 alle 19:30. Quegli anni furono importanti anche per la sperimentazione didattica. Ruolo fondamentale lo ebbe l’IRRSAE Lombardia. Lì noi insegnanti facevamo formazione, condividevamo materiale, e proprio quell’istituto pubblicò nel 1988 forse il primo testo d’italiano per adulti. Si intitolava “Leggere per fare… informarsi… decidere… cambiare”, a cura di Graziella Favaro e alla cui stesura, oltre a me, parteciparono Bettinelli, Piccardi e De Vito.

Che ricordi hai di quegli anni?
“A parte le classi dei cinesi che erano monoetniche per via della particolarità della loro lingua, tutte le altre erano estremamente eterogenee. Avevo brasiliani, cingalesi, mauriziani, somali, turchi, iraniani, oltre a egiziani e senegalesi che erano i più numerosi. Capitavano le cose più bizzarre. Ricordo un gruppo di ragazzi di Asyut, assolutamente non scolarizzati, che non avevano idea di come si tenesse il materiale didattico e a fine lezione appallottolavano i fogli che avevo distribuito e li conservavano in tasca. Una volta invece stavo parlando del Ramadan e un signore egiziano, che faceva l’usciere al consolato del suo paese, sbatté il libro sul banco urlandomi che non avevo il diritto di nominare il Ramadan visto che ero cristiana. Bei ricordi invece sono quelli legati alle cene che io e una collega prendemmo l’abitudine di organizzare. Ognuno preparava qualcosa e la portava, anche noi insegnanti, questo diminuiva la distanza fra noi e loro ed era importante perché i ragazzi socializzassero fra, si creavano bei momenti”.

Dopodiché il fenomeno delle scuole d’italiano è esploso.
“Sì, fra fine anni ’90 e 2000. Io personalmente nel 2000 ho contribuito, assieme ad altri, all’esperienza di “Casa di tutti i Colori”, una delle prime scuole dotate di asilo nido in cui le mamme iscritte ai corsi potessero lasciare i loro figli. Dal 2007 in poi sono passata all’IBVA di via Calatafimi, sempre a Milano, e ci sono rimasta negli ultimi anni. Insomma, questo è tutto”.

Una storia che merita di essere raccontata.
“Già. Ultimamente sono stata al Carroponte [il posto a Sesto San Giovanni dove sorgeva la Breda, oggi spazio eventi, nonché uno dei massimi esempi di archeologia industriale, ndr] mi sono tornati in mente tanti di quei ricordi. Fra i miei studenti c’era un siciliano, baffi enormi e neri che veniva a scuola ogni giorno con abito gessato e scarpe nere di vernice. Finiva di lavorare, correva a casa a cambiarsi e poi a scuola. Oppure un altro, lui operaio, ma i fratelli tutti pescivendoli a Sesto, che esordiva nei suoi discorsi dicendo “noi siamo 7 fratelli, tutti e sette alfabeti”, era il suo biglietto da visita. È stato un periodo a suo modo importante, sono contenta di averlo vissuto”.



Andrea Colasuonno, 12/12/2015
http://www.qcodemag.it/2015/12/12/scuole-ditaliano-per-stranieri/

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