20 set 2012

ma che c'è di male se un bambino vuole vestirsi da donna?

Vogliono mettersi la gonna, giocare con le bambole e dipingersi le unghie. Ma non si considerano né maschi né femmine. E una nuova generazione di genitori sta imparando a crescerli.

La sera prima di mandarlo alla “primina”, i genitori di Alex, Susan e Rob, scrissero una mail ai genitori dei compagni di classe. “Alex” era scritto nella mail “è sempre stato di "genere fluido" e in questo periodo s’identifica tranquillamente sia nei calciatori sia nelle principesse, supereroi e ballerine (per non parlare di Lava e Unicorni, dinosauri e arcobaleni luccicanti).” Spiegarono che Alex recentemente si era molto rattristato quando i genitori gli avevano proibito di indossare vestiti femminili se non durante un gioco di travestimento.
Dopo aver consultato il suo pediatra, uno psicologo e aver sentito genitori di altri bambini di “genere non-conformato”, Susan e Rob conclusero che “la cosa essenziale era di insegnargli a non vergognarsi di come si sentiva dentro”. Era quello il motivo del vestito a strisce fucsia, rosa e giallo che avrebbe indossato il giorno dopo a scuola. Per completare l’informazione, la mail riportava un link informativo sui bambini di “genere variabile” (...)


[CLICCA QUI] per leggere l’articolo in pdf di Ruth Padawer pubblicato da The New York Times l'8 agosto 2012  (traduzione in italiano e link al testo in lingua originale)

venerdì 21 set è stato pubblicato dal blog "la 27. ora" del corriere della sera un articolo sullo stesso argomento [clicca qui]
nota: i commenti riportati di seguito sono stati scambiati sulla mailing e copiati successivamente

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Scusate ma si ritiene che le femmine mettano la gonna, giochino con le bambole e si dipingano le unghie??
Questa caduta di senso, da parte di questa mlist sempre così seria, mi preoccupa un po'
ciao sabina

Coordinamento Genitori e Insegnanti IC Don Orione ha detto...

Ciao Sabina
Ogni tanto ricevo qualche contributo per il blog. Quello di una mamma milanese che ha vissuto in prima persona il disagio di un figlio “rifiutato” fin dal primo giorno di scuola da compagni, genitori e insegnanti per il suo persistente interesse a giocare con le bambine, a indossare gonne, ad una gestualità femminile (la diagnosi è “disturbo di identità di genere”) mi ha particolarmente interessato.
Ho dovuto accantonare la sua proposta per l’impossibilità di tradurre in tempi brevi il lungo articolo del NYT dello scorso 8 agosto. La stessa mamma mi ha poi segnalato una traduzione scovata su un blog italiano.
Credo che il merito dell'articolo del NYT sia quello di rendere pubblica e visibile una questione che è sempre stata risolta nel privato e che assume dimensione diversa quando il bambino esce dalla sfera familiare, tipicamente quando comincia a frequentare la scuola.
Per quello che ho compreso (non sono un'esperta del settore) l’identità di genere è una categoria sociale e culturale che si modifica riflettendo lo sviluppo della società, la sua costruzione e la sua crescita sono un incontro complesso tra la soggettività di ciascuno e i diversi agenti sociali, tra cui famiglia e scuola.
Attualmente il “disturbo di identità di genere” è considerato una malattia mentale. Ma l’atteggiamento degli psichiatri sta cambiando. E’ infatti allo studio un cambio di terminologia: si parlerà di “disforia di genere”, una sofferenza dell’essere umano, di ignota origine, una sofferenza soggettiva dunque, più che una patologia.
Il disturbo di identità di genere è rilevato dagli psichiatri in presenza di una forte e persistente identificazione col sesso opposto: i maschi, ad esempio, hanno interesse per giochi ed attività tradizionalmente femminili, preferiscono giocare e trascorrere il tempo con le bambine, vogliono indossare abiti da donna, il loro modo di fare e la loro gestualità è molto femminile, dicono che quando cresceranno diventeranno una donna, spesso sono oggetto di derisione da parte dei coetanei, provano disagio a dover indossare abiti maschili e non femminili come vorrebbero. Lo stesso vale per le bambine. Si tratta naturalmente di comportamenti persistenti, costanti, diffusi, ripetuti nel tempo, non sporadici o occasionali.
Questo è quanto ho compreso. Mi sembrava interessante, forse anche utile, far circolare un post su un tema che merita attenzione, anche se statisticamente limitato.
Indubbiamente la frase che contesti è una esemplificazione, non posso che dartene atto.
Grazie per il tuo contributo
Anna Fassel

Anonimo ha detto...

Grazie per la risposta; indubbiamente è un argomento complesso e interessantissimo, e sicuramente più ampio di quanto l'area di questo blog possa coprire. Come hai colto in pieno, quello che mi ha disturbato è appunto la semplificazione, l'usare, anche solo per brevità, delle categorie che facilmente fanno poi cadere nello schema preordinato, comune, acritico.
Insomma ho un po' avuto paura di un nuovo modello simile al "disturbo dell'attenzione/iperattività", contenitore ampio dove si ficcano insieme bambini allegri, annoiati, o seriamente problematici, in un'unica ammucchiata, magari curata a suon di farmaci (non ancora nel nostro paese, ma bisogna sempre stare allerta: magari anche mandando qualche mail un po' pedante come forse ho fatto io).
Non so nulla del disturbo da identità di genere, mi disturba comunque molto che si dia per scontato che i generi abbiano identità ben distinte e caratterizzate da connotazioni così schematiche e anche francamente un po' ottocentesche...che ne paghino la conseguenza i bambini già alla materna, è cosa che mi fa soffrire non meno di altre brutture che l'impatto con la scuola materna mi sta provocando.
Sia chiaro che rivolgo queste critiche al sistema psichiatrico (speravo solo culturale in genere....invece , psichiatrico addirittura!!) e non certo alla tua interessante segnalazione.
ciao
sabina

Anonimo ha detto...

Io invece conosco il problema per averlo vissuto da vicino, con una bambina a me cara che invece si sente e si presenta come maschio (cosa assai differente dall’essere omosessuale). L’accoglienza della scuola superiore è stata devastante, in pratica l’hanno sbattuta fuori da due scuole differenti, ignorando il suo grido d’aiuto. Fosse stata mia figlia (o mio figlio) avrei proceduto per vie legali contro queste scuole superiori che hanno detto di “dover proteggere il resto della classe” come se la Disforia i Genere fosse una malattia infettiva.
Invece è proprio una condizione, i cui segni si presentano già in tenerissima età.
Sarebbe bello che la scuola e le/gli insegnanti si documentassero, perché il non sentirsi accettati fa di questi ragazzi/e dei candidati ideali per il suicidio in età adolescenziale e giovanile.
Un saluto, a.