Lo scorso 17 marzo 2016 la scrittrice Maria Rosa Cutrufelli ha presentato «Il giudice
delle donne» alla libreria Tuba di Roma. Cosa accadde nel 1906 quando
dieci insegnanti chiesero
l’iscrizione alle liste elettorali
Si respira il desiderio del futuro che vorremmo nel nuovo romanzo di Maria Rosa Cutrufelli,
Il giudice delle donne, appena edito da Frassinelli (pp. 264, euro 18).
Una storia vera
dei primi del Novecento con la forza dell’attualità, nel
70° anniversario del voto alle donne in Italia,
e la prospettiva di un’impresa ancora da compiere del tutto, perché «è
talmente
precaria la nostra libertà. Basta un soffio e se ne perdono le tracce»,
commenta Alessandra, la giovane maestra esuberante che insegue
l’emancipazione, anche a costo di finire in una struttura fatiscente,
che ieri come oggi, alcuni si ostinano a chiamare scuola.
Siamo nel 1906 a Montemarciano, paese in provincia di Ancona che guarda l’Adriatico, e qui
dieci maestre, capeggiate da Luisa la moglie del sindaco socialista, accolgono
l’appello di Maria Montessori
a
chiedere il diritto al voto, quel suffragio universale valido in realtà
solo per i maschi. Una vicenda che Cutrufelli ha «ri-scoperto, dopo che
ne avevo letto sui libri delle nostre storiche
(storiche femministe, intendo) – racconta l’autrice – ma non mi ero mai
soffermata sull’importanza, anche simbolica, di questo episodio, forse
perché si trattava sempre di poche righe; così è stata una sorpresa
quando, di passaggio a Senigallia, ho visto la
targa commemorativa sul muro del municipio. Caspita, mi sono detta, ma
qui abbiamo le prime elettrici della storia europea, anzi mondiale,
perché solo in Australia e in Nuova Zelanda le donne avevano già vinto
questa battaglia. È stato in quel momento che
mi sono ripromessa di raccontare quella storia». E per farlo si è
immersa nella ricerca e studio di documenti e testi dell’epoca,
ricostruendo nella trama e nel lessico i toni di quegli anni tesi alla
conquista della modernità che sembrava a portata di mano,
prima di cadere nell’orrore della prima guerra mondiale e del fascismo.
Una
scrittura come sempre profonda e ariosa al tempo stesso, quella di
Maria Rosa Cutrufelli, capace di tratteggiare le pieghe dei sentimenti
e i paesaggi sociali in movimento. Racconta gli anni in cui le donne
iniziavano a uscire di casa, e per farlo alcune di loro diventavano
maestre, un mestiere che «ha fatto l’Italia», arrivando nei luoghi più
sperduti per alfabetizzare il paese e scontrandosi
con una società contadina dove il lavoro minorile era la regola: «il vero rivale delle maestre è il lavoro nei campi. L’alfabeto viene dopo la terra, non c’è rimedio»,
pensa la protagonista nel dare le pagelle ai pochi rimasti, sì perché
quelli sono anche gli anni della grande emigrazione verso le Americhe.
Fino in Argentina è andato il babbo di Teresa, bambina divenuta muta e
che nel cuore ha stretto un segreto che scopriremo
man mano nel corso della lettura. Non solo, il 1906 è anche l’anno
dell’Expo di Milano e di chi lo racconta, come Adelmo, giovane cronista
di provincia che ha seguito con sguardo attento la storia delle
«maestrine», così le chiama senza rendersi conto della
svalutazione insita nel termine, andando a scovare anche il «giudice
delle donne», quel Lodovico Mortara presidente della corte di Appello
che dirà che le donne hanno diritto a iscriversi nelle liste elettorali.
Un giudice contro tendenza, una sentenza che
farà discutere sia i conservatori che i progressisti del tempo e che
provò a dire, ai primi del Novecento, che «la legge è statica, ma la
giurisprudenza è dinamica. I costumi cambiano e sono l’opera del giudice
a rendere viva la legge».
Una
legge, anche non scritta, che vorrebbe le donne lontane dalla politica,
di nuovo, ieri come oggi. Il rapporto fra le donne e il voto,
e la rappresentanza che ne consegue, non è mai stato un rapporto
facile, forse perché «non si tratta solo di un diritto di libertà, come
dicono i giuristi – sottolinea Cutrufelli – ma anche di un potere che dà
autonomia e capacità negoziale, ed è proprio questo
‘potere’ che la cattiva politica vuole erodere e ridurre al minimo». Le
maestre marchigiane non vinsero del tutto la loro battaglia ma aprirono
un varco fondamentale per la speranza del cambiamento: a 110 anni di
distanza quel fermento sembra essersi trasformato
in una palude, diritti delle donne compresi. Ma se volessimo ripartire e
riprendere in mano quel filo, Cutrufelli non ha dubbi e risponde con le
parole di Emmeline Pankhurst, suffragetta inglese, «mai sottovalutare
la propria forza…» e continuare a raccontare
le storie che nessuno racconta.
(il manifesto, Barbara Bonomi Romagnoli, 17 marzo 2016)
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