Per
contrastare efficacemente la dispersione scolastica e l’abbandono, l’associazione NonUnodiMeno me tte
a disposizione di tutte le forze sociali e politiche della sinistra un piano
straordinario per affrontare globalmente questa vera e propria “piaga sociale”,
considerato che un ragazzo su tre non raggiunge il diploma della scuola secondaria superiore.
Se
le cause della dispersione sono prevalentemente di tipo socio-culturale, una
strategia corretta che vuole puntare al cambiamento radicale dovrebbe mettere a
disposizione forti investimenti pubblici di tipo perequativo – cioè in
controtendenza con i forti tagli degli ultimi governi ed in direzione contraria
alle donazioni dei privati.
Queste
risorse pubbliche dovrebbero servire proprio per sostenere quelle
scuole a più alto rischio di dispersione – le scuole di serie B, le scuole delle periferie, gli
istituti tecnici e professionali.
La
nostra proposta non è puramente teorica ma fa riferimento al modello
delle ZEP francesi istituite
nel 1981 dal Governo della gauche di Jospin – le zones
d’education prioritaires – con l’obiettivo di fornire un
sostegno aggiuntivo alle aree del paese scolasticamente più disagiate. E insieme si potrebbe fornire
incentivazione professionale proprio a quegli insegnanti impegnati nelle
situazioni più problematiche,
oppure sostegno all’elaborazione di progetti di innovazione didattica e di
incoraggiamento a pratiche di autovalutazione di istituto per contrastare la
dispersione.
Non
è un caso che più di 100 scuole in Francia si siano
mobilitate per
opporsi alla decisione del Governo Hollande di tagliare queste Zone Speciali.
Il
secondo terreno su cui intervenire è quello dell’organizzazione
strutturale del sistema scolastico: se la zona maggiore di dispersione è quella del biennio
delle superiori, è
qui che dobbiamo produrre lo sforzo maggiore di cambiamento.
Stiamo
parlando di ragazze/i di 15/16 anni che si scontrano con un sistema di
istruzione ingiustamente selettivo proprio in una fase dello sviluppo evolutivo
particolarmente delicata dove l’insuccesso viene vissuto come un
fallimento personale –
e non come un grave problema sociale – producendo uno stato di delusione, di
rassegnazione, di caduta dell’autostima e di sfiducia verso le istituzioni difficilmente
recuperabile.
In
questo contesto, andrebbe reso concreto e reale l’obbligo scolastico a 16
anni che è
qualcosa di più e di diverso dal generico obbligo di istruzione introdotto con
la Legge 296 del 2006 che è ambiguo perché consente un doppio canale, con una scelta
precoce e antipedagogica che
già a 13 anni divide tra chi continuerà gli studi e chi invece
sceglierà la formazione professionale. Ambiguo perché – cosa ancora più grave – consente di
assolvere all’obbligo di istruzione anche attraverso l’apprendistato.
Il cambiamento che auspichiamo può essere
possibile solo se andiamo verso un superamento netto dell’impianto Gentiliano
del 1923 che è fondato su norme e modelli rigidi e separati tra loro con 4
macro-ordinamenti: i licei, gli istituti tecnici e professionali, la formazione
professionale gestita dalle Regioni.
Anche in questo caso il nostro non vuole essere un ragionamento puramente teorico perché nella nostra storia ci sono già state esperienze che hanno superato quelle rigidità e che hanno indicato/sollecitato un sistema unitario capace di allargare le opportunità di apprendimento dello studente. Queste esperienze si chiamavano Itsos – Istituti Sperimentali – che avrebbero dovuto anticipare la riforma della secondaria superiore.
Come sempre le migliori esperienze di quegli anni, ’70 e ’80, sono state poi tagliate, ma di quel periodo di grandi speranze è rimasto un punto qualificante che è quello del biennio unitario e orientativo in grado di garantire una solida cultura generale di base ed un assaggio delle materie professionalizzanti. Il biennio della scuola secondaria superiore è dunque a nostro parere lo snodo strategico per tutto il sistema di istruzione.
Il terzo punto riguarda le metodologie didattiche, che devono essere profondamente innovate se vogliamo contrastare la dispersione. Il cambiamento deve essere radicale perché se vengono riproposte nella tradizionale impostazione frontale e cattedratica o nel semplice “riciclo di argomenti triti e ritriti” le metodologie generano quel distacco e quella anoressia intellettuale dei giovani che ben conosciamo.
L’ora di lezione dovrebbe essere “l’incontro con l’ossigeno vivo del racconto, della narrazione, del sapere che si offre come un evento” (Recalcati). Il sapere dovrebbe essere come un risveglio che apre nuovi mondi.
Se la scuola diventa invece una sorta di computerizzazione delle conoscenze nella quale, come in un’azienda, si tratta di schiacciare nella testa dei ragazzi una serie di nozioni, allora viene meno quel sapere inteso come una scoperta che apre nuovi interessi. L’innovazione delle metodologie didattiche è un passaggio necessario perché c’è grande bisogno di ri-motivare i ragazzi e di ri-orientarli rispetto a scelta spesso sbagliate.
Allora realizziamo l’apprendimento cooperativo (cooperative learning) nel quale “il noi” prevalga “sull’io”, dove prevalga l’aiuto reciproco e la solidarietà al posto della concorrenza meritocratica. Realizziamo corsi continuativi (non una tantum) di recupero e di ri-motivazione sostenuti da risorse adeguate, realizziamo la peer education così che gli studenti degli ultimi anni possono aiutare i loro compagni di prima e seconda superiore utilizzando con opportune Convenzioni l'Alternanza Scuola e Lavoro come già abbiamo messo in pratica in alcune scuole milanesi. Invece che mandare i ragazzi a fare fotocopie o a vendere patatine ai fast food di Mac Donald diamo loro la possibilità di mettere in pratica come Peer Tutor ciò che hanno imparato negli anni di scuola. Realizziamo poi una scuola che unisca il sapere con il saper fare attraverso una didattica laboratoriale. E soprattutto rilanciamo con forza quella scuola della Costituzione che è il fondamento di una società che vuole garantire pari dignità sociale e l’eguaglianza dei cittadini.
Anche in questo caso il nostro non vuole essere un ragionamento puramente teorico perché nella nostra storia ci sono già state esperienze che hanno superato quelle rigidità e che hanno indicato/sollecitato un sistema unitario capace di allargare le opportunità di apprendimento dello studente. Queste esperienze si chiamavano Itsos – Istituti Sperimentali – che avrebbero dovuto anticipare la riforma della secondaria superiore.
Come sempre le migliori esperienze di quegli anni, ’70 e ’80, sono state poi tagliate, ma di quel periodo di grandi speranze è rimasto un punto qualificante che è quello del biennio unitario e orientativo in grado di garantire una solida cultura generale di base ed un assaggio delle materie professionalizzanti. Il biennio della scuola secondaria superiore è dunque a nostro parere lo snodo strategico per tutto il sistema di istruzione.
Il terzo punto riguarda le metodologie didattiche, che devono essere profondamente innovate se vogliamo contrastare la dispersione. Il cambiamento deve essere radicale perché se vengono riproposte nella tradizionale impostazione frontale e cattedratica o nel semplice “riciclo di argomenti triti e ritriti” le metodologie generano quel distacco e quella anoressia intellettuale dei giovani che ben conosciamo.
L’ora di lezione dovrebbe essere “l’incontro con l’ossigeno vivo del racconto, della narrazione, del sapere che si offre come un evento” (Recalcati). Il sapere dovrebbe essere come un risveglio che apre nuovi mondi.
Se la scuola diventa invece una sorta di computerizzazione delle conoscenze nella quale, come in un’azienda, si tratta di schiacciare nella testa dei ragazzi una serie di nozioni, allora viene meno quel sapere inteso come una scoperta che apre nuovi interessi. L’innovazione delle metodologie didattiche è un passaggio necessario perché c’è grande bisogno di ri-motivare i ragazzi e di ri-orientarli rispetto a scelta spesso sbagliate.
Allora realizziamo l’apprendimento cooperativo (cooperative learning) nel quale “il noi” prevalga “sull’io”, dove prevalga l’aiuto reciproco e la solidarietà al posto della concorrenza meritocratica. Realizziamo corsi continuativi (non una tantum) di recupero e di ri-motivazione sostenuti da risorse adeguate, realizziamo la peer education così che gli studenti degli ultimi anni possono aiutare i loro compagni di prima e seconda superiore utilizzando con opportune Convenzioni l'Alternanza Scuola e Lavoro come già abbiamo messo in pratica in alcune scuole milanesi. Invece che mandare i ragazzi a fare fotocopie o a vendere patatine ai fast food di Mac Donald diamo loro la possibilità di mettere in pratica come Peer Tutor ciò che hanno imparato negli anni di scuola. Realizziamo poi una scuola che unisca il sapere con il saper fare attraverso una didattica laboratoriale. E soprattutto rilanciamo con forza quella scuola della Costituzione che è il fondamento di una società che vuole garantire pari dignità sociale e l’eguaglianza dei cittadini.
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