Storie.
Ci sono voluti i cinquant’anni dalla morte per il suo ritorno da protagonista.
Incentrato sulla figura del pievano di Barbiana va in scena a San Miniato
«Vangelo secondo Lorenzo». Uno spettacolo di grande respiro, scritto da Leo
Muscato assieme a Laura Perini
Ci
sono voluti 50 anni dalla sua morte, per questo ritorno da protagonista della
figura di don Lorenzo Milani, ma bisogna dire che nonostante le molte
sbracature (e qualche professione tardiva e improbabile di ammirazione sopra le
righe), perfino negli spettacoli che ne ripercorrono e ripropongono ora la
storia, la figura del sacerdote toscano esce limpida e fortissima, come era
apparsa del resto già allora a qualche intellettuale: da La Pira a qualche
giornalista cattolico di sinistra» inguattato e isolato magari nei culturali
della Rai, o a persone anch’esse notevoli come il maestro di Piadena Mario
Lodi, o il grande Giorgio Pecorini (sull’Europeo e poi sull’Espresso, ma che
poi anche i nostri lettori hanno avuto modo di apprezzare).
Ma
era soprattutto alla «base» che le parole di don Milani parlavano: a giovani e
giovanissimi, magari appena adolescenti, che sentivano le potenzialità
elettriche del Concilio Vaticano II e anche la pachidermica mummificazione del
sistema sovietico, ma poi trovavano poche rispondenze, o assai limitate o
d’élite, nella vita quotidiana che si trovavano a intraprendere. Il ’68 era
ancora di là da venire, ma sicuramente, quando arrivò, aveva nelle tasche di
molti L’obbedienza non è più una virtù [il testo] [la risposta ai cappellani]:
bellissimo motto, ma che conteneva oltre alla lucidità di padre Ernesto
Balducci, la tragedia vera del «caso Fabbrini», primo obbiettore di coscienza
in Italia, ripetutamente processato per «diserzione» con la benedizione dei
santi «cappellani militari», che solo oggi rischiano finalmente di perdere
quella qualifica medievale! Ma soprattutto, baedeker fondamentale di ogni
contestazione, tutti conoscevano Lettera a una professoressa. Un libro bianco e
austero, che conteneva in quelle pagine semplicissime e di immediata
comprensibilità, una analisi abissale della scuola italiana, una istituzione
che il boom appena trascorso aveva voluto «rinnovare» e modernizzare, con lo
storico passaggio alla scuola media unificata varata solo un pugno d’anni prima
che il libro nascesse a Barbiana. Un libro quella Lettera impietosa, che la
scuola riformata faceva a pezzi, scoprendone la funzione di classe innegabile,
con la selezione impietosa che andava a compiere, attraverso immagini tanto
semplici e suggestive che sono andate a costituire il dna di quella
generazione: come l’ingiustizia fintamente egualitaria di dare strumenti e
possibilità in misura «uguale» a tutti i ragazzi, che uguali però non erano
affatto, per famiglia, censo e cultura. E conteneva anche, la Lettera di don
Milani e dei suoi scolari di Barbiana, cose meno facili da capire e accettare,
a proposito di egualitarismo radicale. Come l’approvazione di certe regole
maoiste che contemplavano in Cina davanti a reati sociali gravi, pene ancor più
gravi e mutilazioni definitive. Una moralità senza mediazioni, difficile da
accettare in una cultura borghese, ma che si fondava, e quindi legittimava,
nella vita miserrima di un gruppo di ragazzi in quello spigolo di Mugello dove
Barbiana diventò scuola del mondo.
Nella
sua pratica quotidiana, era una vera utopia che prendeva corpo, e che avrebbe
dato linfa, talvolta inconsapevole, a tante coscienze, dopo. Non fu amato quel
prete di campagna, nato da famiglia intellettuale e borghese, e poi convertito
a quella povertà assoluta che lo rendeva libero e inattaccabile. Soprattutto
dall’ordine costituito delle tremende gerarchie ecclesiastiche che in ogni modo
cercarono di ostacolarlo. E solo una malattia terribile riuscì a portarsi via.
Fanno sorridere oggi (ma neanche tanto) gli eredi di quelle stesse gerarchie,
in prima fila ora nel riconoscerne la virtù (la disobbedienza?), profondendosi
in complimenti e apprezzamenti. Certo costretti dall’indomabile papa Francesco,
che un mese fa, proprio nel cinquantenario della morte, è andato a Barbiana a
pregare per don Milani. «Da papa» ha sottolineato a proposito di una propria
frase. Ma Bergoglio si sa, è un’eccezione, anche in Vaticano dove continua a
vivere, quasi da estraneo, nella foresteria per gli ospiti. E che prima di
occuparsi di Barbiana aveva identificato un altro precedente scandaloso cui
votarsi.
Anzi
si prepara a dichiarare addirittura «santo» monsignor Romero, l’arcivescovo del
Salvador fucilato sull’altare dagli squadroni della morte di qualche organismo
panamericano. Nello stesso tempo però, il cinquantenario ha spinto anche
Mondadori a raccogliere in due meridiani tutti gli scritti di don Milani. A
questo punto, il pievano di Barbiana ha cominciato a prendere corpo anche su
qualche palcoscenico. E l’impegno maggiore è quello cui coraggiosamente si è
votato quest’anno l’Istituto del dramma popolare di San Miniato, che ha rotto
gli indugi di altre occasioni, e presenta in questi giorni Vangelo secondo
Lorenzo (una replica ancora stasera alle 21.15 nella chiesa di san Francesco, e
poi in tournée toscana la primavera prossima, e nell’autunno 2018 in tournée
nazionale).
È
uno spettacolo di grande respiro, scritto (a quattro mani assieme a Laura
Perini) da Leo Muscato che ne è anche regista. Del testo originale, solo la
metà va in scena, con gli episodi che riguardano la parrocchia di Calenzano e
quella di Barbiana: l’insieme potrebbe essere destinato a una narrazione
televisiva. E non c’è da scandalizzarsi: anche questa anticipazione da
palcoscenico è dichiaratamente pop, nel senso originale di «popolare», perché
vuol far conoscere al più ampio pubblico un padre semisconosciuto e per tanto
tempo osteggiato della nostra cultura. Un contenitore austero (canonica,
chiesa, casa del popolo) che cambia a vista, mentre il bravissimo Alex Cendron,
nei panni sempre talari del protagonista, affronta le tante stazioni di questa
umanissima quanto rigorosa via crucis. Attorno a lui, partecipazioni molto
sensate: quelle dell’Arca Azzura di Ugo Chiti (coproduttori assieme a Elsinor e
al Metastasio), da sempre fautori di un teatro che da paesano afferma verità
universali, e altri attori di provenienza diversa come Alessandro Baldinotti o
Andrea Mascagni. Ma soprattutto una scatenata banda di ragazzi, gli allievi
primari di Barbiana, che hanno divertito e commosso anche chi allora quella
condizione l’ha vissuta davvero.
Gianfranco
Capitta, il manifesto, 26 luglio 2017
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