Il
30 settembre 2015 era il termine ultimo per dare efficacia alla raccolta di
firme di due referendum sul mondo della scuola. Il primo presentato
dal movimento Possibile di Giuseppe Civati, il secondo dal “Comitato
promotore Leadership alla scuola”, vicino al sindacato Snals di Napoli.
Una
sfida davvero difficile raccogliere in periodo estivo le 500 mila firme
valide previste dalla normativa (ma per una maggiore tranquillità ne
sono necessarie almeno
il 20% in più). L’obiettivo dei promotori era di completare la
raccolta, avviata successivamente al 13 luglio 2015, data di
approvazione della legge, entro il 30 settembre 2015 per consentire lo
svolgimento dei referendum la primavera prossima, tra il 15 aprile
e il 15 giugno 2015, come previsto dalla legge. In caso contrario, i
referendum sarebbero slittati al 2017. Ma la normativa prevede infatti
che la richiesta di referendum non può essere depositata nell'anno
anteriore alla scadenza di una delle due Camere e
nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali
per l'elezione di una delle Camere medesime.
E nel 2018 termina, per l’appunto, il quinquennio legislativo in corso. “In the long run we are all dead”, nel lungo periodo siamo tutti morti, come diceva un noto economista.
Ma
raccogliere le firme necessarie entro il 30 settembre non sarebbe
comunque stato sufficiente. Tutta da verificare la successiva pronuncia
positiva di due giudizi di
merito, quello della Corte di Cassazione, che si esprime sulla loro
legittimità costituzionale (ovvero la conformità alle norme della
legge), e quello della Corte Costituzionale, che si esprime sulla loro
“ammissibilità” (limiti di natura costituzionale, impliciti
o espliciti). E poi, per “vincere”, la necessità di raggiungere il
quorum, costituito dal 50% più uno degli aventi diritto al voto,
obiettivo non facile visto la inesorabile disaffezione al voto
dell’elettorato. Ed infine il 50% più uno di SI all’abrogazione
(circa 13 milioni di cittadini).
A
queste difficoltà “tecniche”, aggiungiamo che i due referendum sono
stati proposti senza alcun coinvolgimento del mondo della scuola.
E’ mancato il dialogo, è mancata la condivisione. Le associazioni, le
organizzazioni, i comitati, i movimenti che da almeno dieci anni si
battono per la vera Buona Scuola non sono state coinvolte, ascoltate. Ci
limitiamo agli ultimi dieci anni perché, senza
voler far torto a nessuno, e ben consapevoli che la battaglia per la
vera buona scuola ha radici più antiche, proprio dieci anni fa, il 30
gennaio 2005, è stata presentata la Proposta di Legge di iniziativa
popolare per la Buona Scuola della Repubblica [clicca qui]. Ignorata dalla politica, abbandonata da un’importante fetta
della stessa scuola, quella proposta è, indubbiamente, il punto di
partenza per qualunque battaglia a favore della scuola. E con esso, lo
sono i movimenti, gli insegnanti, i cittadini che
l’hanno scritta, sostenuta, appoggiata e sottoscritta.
Il
quesito proposto dal movimento Possibile intendeva cancellare la norma
contenuta nella recente riforma della Scuola che attribuisce
al Preside la facoltà di chiamata diretta degli insegnanti [leggi il testo completo del quesito].
E’ stato presentato insieme ad un pacchetto di altri 7 referendum (2
sulla legge elettorale, 3 sulla riconversione ecologica dell’economia, 2
sul job act).
Principale obiettivo di Civati, si tratta naturalmente di un nostro
parere, era quello di dare visibilità ad un soggetto politico, il suo,
appena costituito. Un atto autoreferenziale, il peccato originale
dell’intera operazione. Inoltre Civati ha certamente
puntato su un aspetto della nuova legge particolarmente sentito dal
mondo della scuola, ma probabilmente altri parti della legge 107
meritavano attenzione. Il movimento Possibile ha dichiarato di avere
raccolto circa 300 mila firma.
Il
quesito proposto dal “Comitato promotore Leadership alla scuola”
chiedeva l’abrogazione dell’intera legge n. 107: “Volete voi che
sia abrogata la legge del 13/7/2015 n. 107 "Riforma del sistema
nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle
disposizioni legislative vigenti"?”. Il fatto che con un unico quesito
si chiedesse l’abrogazione di TUTTA la legge ha generato
fin da subito parecchi dubbi nei giuristi. Il quesito risulta infatti
omogeneo rispetto alla disomogeneità della legge, non consente cioè al
cittadino di poter esprimere la propria opinione su parti della legge
che potrebbe voler o non voler abrogare. Il vero
obiettivo del comitato è sembrato fin da subito la cosiddetta campagna
“anti-gender”, in particolare il comma 16 [clicca qui] della
legge 107, figlio secondo alcuni, della propaganda delle lobby gay per
favorire ed incentiverebbe la “propaganda” omosessuale
nelle scuole, la famiglia omosessuale e quella omogenitoriale, insomma
per scardinare il sacro istituto della famiglia. Non è un caso che il
referendum sia stato particolarmente sentito dai settori più
tradizionalisti della chiesa cattolica. Il legame tra
i promotori di questo referendum e il movimento “antigender” è
dimostrato sia dal materiale disponibile sul [sito] del comitato (vedi dal menù le voci “no gender + video informativo” e “lettera ai parroci”)
che dal comunicato dello scorso 30 settembre a chiusura raccolta firme [clicca qui]. Il quesito è stato sottoscritto da 458 mila cittadini (autodichiarazione del comitato).
Una
brutta pagina per la Scuola italiana. Tante energie sprecate, un
impegno inevitabilmente destinato, per i motivi che abbiano elencato,
al fallimento. Da parte nostra riteniamo che la strada da seguire sia
quella indicata dall’Assemblea Nazionale della Scuola a Bologna lo
scorso 6 settembre [clicca qui]. Alcune iniziative sono già state
realizzate, altre attiviate. Occorre tenere alto
il livello della mobilitazione, urge indire una manifestazione
nazionale unitaria e uno sciopero generale della scuola, che coinvolga
tutte le forze sindacali e la società civile sui temi della conoscenza,
della democrazia e del lavoro.
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