La «Buona Scuola» di Renzi ha trasformato la scuola in un’agenzia del customer care, la cura dei clienti. La definizione è di Christian Raimo, scrittore e insegnante militante, nel suo ultimo libro Tutti i banchi sono uguali. La scuola è l’uguaglianza che non c’è (Einaudi, pp. 142, 16 euro). L’alternanza obbligatoria tra scuola e lavoro, a regime da quest’anno per gli studenti delle superiori, porta a compimento un progetto della pedagogia neoliberista: trasformare lo studente in una forza lavoro capace di praticare il problem solving e le soft skills.
QUESTE PAROLETTE sono state prelevate dai manuali di management
delle risorse umane e sono state adattate alle circolari scolastiche
dal ministero dell’Istruzione. È ormai noto il loro significato:
trasformare la conoscenza in capacità di risolvere problemi affinché il
soggetto impari a esercitare competenze molli e trasversali sul lavoro e
nella vita. La scuola, oggi, insegna a diventare forza lavoro
adattabile al mercato, non una soggettività che afferma il proprio
diritto a esistere nella società e sul mercato. A questo fine è utile
fare un tirocinio da 200 o 400 ore per friggere patatine, servire un
gelato da Mc Donald’s o aiutare un cliente che cerca un vestito
last-minute da Zara. Questo progetto di professionalizzazione
dell’istruzione ha ricevuto una spinta dal renzismo: educare gli
adolescenti alla morale dell’imprenditore di se stesso – imparare a
gestirsi come un’impresa – in una società dove la regola è il lavoro
gratuito, estenuante è la ricerca di una visibilità funzionale alla
conquista di un «lavoretto».
IN UN PAMPHLET agile,
nutrito da inchieste sul mercato nero delle lezioni a pagamento,
sensibile rispetto all’ampia discussione sulla trasformazione in atto,
Raimo delinea la trasformazione dalla scuola disciplinare del comando
alla scuola del governo della forza lavoro con i contratti a breve e
brevissimo termine. Questa istituzione sente comunque la necessità di
continuare a fare la morale. A quanto pare il Bene per gli studenti
consiste nell’essere disponibili alle necessità di chi comanda in un
negozietto, un salone di bellezza o una fabbrichetta di bulloni. Scuola
significa essere pronti al lavoro, non importa quale.
È lo stesso messaggio che passa ogni
volta che si celebrano i dati del presunto «successo» del Jobs Act.
L’occupazione «cresce», non importa che sia quella precaria e degli over
50. L’importante è che sia «lavoro». Un lavoro qualsiasi per tenersi
occupati. Questa legge è fondamentalmente classista:
vale per chi non ha altre risorse che quelle di vendere la propria
forza lavoro, non tanto per chi può contare su un capitale sociale e
familiare per aggirare qualche ostacolo.
«IL PROBLEMA del lavoro per questi adolescenti – scrive Raimo, citando Gioventù assurda
di Paul Goodman – non potrebbe essere sanato che attraverso una
rivoluzione sociale». Un’aspirazione prosciugata all’epoca della
disillusione compulsiva, ma che potrebbe stimolare i ragazzi in fiore
che vogliono conoscere il mondo oltre i «McJobs» – i lavori-spazzatura –
a cui sono condannati a vita.
Roberto Ciccarelli, il manifesto, 15/09/2017
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