A
un mese dalla scomparsa, avvenuta il 5 gennaio 2017, di Tullio De
Mauro, professore emerito di Linguistica generale ed ex Ministro
dell’Istruzione, il
MIUR ha invitato con la circolare n. 1 del 3/2/2017 le scuole italiane
a raccogliere la sua eredità, traducendola in attività didattiche e di
formazione con le stesse finalità che hanno contraddistinto il suo
pensiero: innalzare le competenza linguistiche
di tutti per un effettivo esercizio dei diritti di cittadinanza.
I
docenti sono invitati, partendo dalle idee di De Mauro, ad affrontare e
discutere i temi di come l’insegnamento dovrebbe cambiare e di cosa la
scuola
dovrebbe fare per meglio adempiere ai suoi compiti di inclusione
sociale, di riduzione delle disuguaglianze, di innalzamento dei livelli
culturali del paese.
MIUR C.M. 1 del 03/02/2017: [clicca qui]
Di seguito l’intervista rilasciata il 28 marzo 2016 a
La Voce di New York a cura di Filomena
Fuduli Sorrentino
L’analfabetismo italiano e la Repubblica fondata sull’ignoranza
L'intervista con il linguista Tullio De Mauro sui nuovi dati dell’analfabetismo in Italia
Secondo gli studi dell'autorevole
linguista De Mauro, meno di un terzo della popolazione italiana avrebbe i
livelli di comprensione della scrittura e del calcolo necessari per orientarsi
nella vita di una società moderna. Il peso sullo sviluppo economico e sociale
resta enorme
Tullio
De Mauro è il più autorevole linguista italiano. De Mauro ha insegnato
linguistica in diverse università italiane e ha diretto il Dipartimento
di Scienze del Linguaggio nella Facoltà di Filosofia, e successivamente
il Dipartimento di Studi Filologici, nella Facoltà di Scienze
Umanistiche dell’Università la Sapienza di Roma.
Già ministro della pubblica istruzione (aprile 2000-giugno
2001, governo Amato), ha presieduto la Società di Linguistica Italiana
(1969-73) e la Società di Filosofia del Linguaggio (1995-97). Nel
novembre 2006 ha contribuito alla fondazione dell’associazione
Senso Comune per un progetto di dizionario informatico, di cui è
tuttora presidente. È socio ordinario dell’Accademia della Crusca, e dal
novembre 2007 dirige la Fondazione Maria e Goffredo Bellonci. De Mauro
presiede il comitato direttivo del Premio Strega.
Ha scritto moltissimi libri, tra i quali il recente Storia linguistica dell’Italia repubblicana
(Laterza, Bari 2014).
Professor De Mauro, nel 2010 aveva condotto uno studio sull’analfabetismo in Italia. Ci fa il punto sui
dati raccolti allora, sulle novità e come si dividono?
“Da molti anni, perlomeno dalla
Storia linguistica dell’Italia unita del 1963, ho cercato di
raccogliere dati sull’analfabetismo strumentale (totale incapacità di
decifrare uno scritto) e funzionale (incapacità di passare dalla
decifrazione e faticosa lettura alla comprensione di un
testo anche semplice) e ho cercato di richiamare l’attenzione dei miei
illustri colleghi sul peso che l’analfabetismo ha sulle vicende
linguistiche e, ovviamente, sociali in Italia. Avevamo dati
sull’analfabetismo strumentale, ma per l’analfabetismo funzionale
avevamo solo sondaggi parziali e ipotesi, a elaborare le quali abbiamo
lavorato a lungo in diversi, ricordo qui almeno e soprattutto il
professor Saverio Avveduto a lungo presidente dell’UNLA (Unione
Nazionale per la Lotta all’Analfabetismo). Dai tardi
anni novanta dello scorso secolo per merito di Statistics Canada
(il centro statistico nazionale canadese) sono state promosse accurate
indagini comparative e osservative su estesi campioni statistici delle
popolazioni per determinare
diversi gradi di analfabetismo nei diversi paesi del mondo. Già
nel 2005 ho potuto utilizzare questi dati. Nel 2014 è giunta a
compimento la terza indagine comparativa internazionale gestita
dall’OCSE (l’Organizzazione di cooperazione e sviluppo economico).
L’indagine è chiamata PIAAC, Programme for International Assessment of Adult Competencies), e per quasi trenta paesi del mondo, tra cui l’Italia,
ha definito cinque livelli di alfabetizzazione in
literacy e numeracy delle popolazioni
in età di lavoro (16-65 anni), dal livello minimo di
analfabetismo strumentale totale, a un secondo livello quasi minimo e
comunque insufficiente alla comprensione e scrittura di un breve testo,
ai successivi tre gradi di crescente capacità di comprensione
e scrittura di testi, calcoli, grafici.
Dati analitici sul nostro e altri paesi possono trovarsi in un mio libro più recente,
Storia linguistica dell’Italia repubblicana (Laterza, Bari 2014).
Qui il nostro focus è l’Italia. Come in Spagna il 70% della popolazione
in età di lavoro si colloca sotto i due primi livelli. Soltanto un po’
meno di un terzo della popolazione ha quei
livelli di comprensione della scrittura e del calcolo dal terzo livello
in su che vengono ritenuti necessari per orientarsi nella vita di una
società moderna. Ma il fenomeno ha gravi dimensioni in tutti i paesi
studiati anche se nessuno raggiunge i livelli
negativi di Italia e Spagna. Più della metà della popolazione è in
condizioni che potremmo dire “italo-spagnole” negli USA e (a
decrescere), in Francia, Gran Bretagna, Germania ecc. Perfino in paesi
virtuosi, per eccellenza dei sistemi scolastici e diffusione
della lettura, si trovano percentuali di analfabeti prossime al 40%:
così in Giappone, Corea, Finlandia, Paesi Bassi.
Il
problema dunque, pur a diversi livelli di gravità, non è solo italiano.
Anche dopo avere acquisito buoni, talora eccellenti livelli di
literacy e numeracy in età scolastica, in età adulta le
intere popolazioni sono esposte al rischio della regressione verso
livelli assai bassi di alfabetizzazione a causa di stili di vita che
allontanano dalla pratica e dall’interesse per la lettura
o la comprensione di cifre, tabelle, percentuali. Ci si chiude nel
proprio particolare, si sopravvive più che vivere e le eventuali buone
capacità giovanili progressivamente si atrofizzano e, se siamo in queste
condizioni, rischiamo di diventare, come diceva
Leonardo da Vinci, transiti di cibo più che di conoscenze, idee, sentimenti di partecipazione solidale”.
L’analfabetismo
fa credere che la realtà sia diversa da quella vissuta. Quali sono i
problemi che il nostro paese affronta a causa dell’inconsapevolezza
dei cittadini?
“I
problemi sono molti. Mi limiterò qui a ricordare solo quel che illustri
economisti come Luigi Spaventa o Tito Boeri hanno spiegato: il grave
analfabetismo strumentale e funzionale incide negativamente sulle
capacità produttive del paese e, a loro avviso, è responsabile del grave
ristagno economico che affligge l’Italia dai primi anni novanta”.
Qual
è la percentuale degli italiani che ha una comprensione dei discorsi
politici o che capisca come funzioni la politica italiana?
“È certamente inferiore al 30%”.
Secondo Socrate “c’è un solo bene: il sapere. E un solo male: l’ignoranza”. Oggi si combatte l’analfabetismo altrui oppure si usa come arma di
sfruttamento per arrivare al potere?
“Purtroppo l’analfabetismo è oggettivamente un
instrumentum regni, un mezzo eccellente per attrarre e sedurre molte persone con corbellerie e mistificazioni”.
Qual
è la percentuale degli italiani che ha comprensione dei vocaboli
ambigui e di locuzioni straniere usati dai politici e dalla TV?
“All’interno
del 30% di meglio alfabetizzati solo una percentuale modesta ha una
buona conoscenza di lingue straniere e di linguaggi tecnico-scientifici.
In attesa di indagini mirate e specifiche, che stiamo avviando, si può
ipotizzare che solo il 10% della popolazione in età di lavoro capisce
bene tecnicismi e forestierismi”.
Secondo Lei il governo italiano fa abbastanza per il mantenimento e l’insegnamento della lingua italiana all’estero?
“Ci sono
da qualche tempo molte buone intenzioni, ma
scarseggiano iniziative di sostegno paragonabili a quelle delle
istituzioni pubbliche che promuovono lo studio delle lingue di altri
paesi.
British Council, Cervantes, Centre Culturel Français, Confucio, Japan Foundation, Goethe, … .
La Dante Alighieri ha nome analogo ad alcune grandi ed efficienti istituzioni straniere, ma, anche se con un
po’ di finanziamenti pubblici, è lontana per struttura e natura
dal poter assolvere ai compiti della complessiva promozione della lingua
e cultura dell’Italia fuori di Italia. Di più potrebbero fare
i nostri Istituti di cultura se fossero più numerosi nel mondo e ben sostenuti da finanziamenti statali.
Resta da sperare (e a mio avviso non è poco) nel faidatè dei
milioni di italiani e oriundi italiani sparsi nel mondo”.Filomena Fuduli Sorrentino, pubblicato il 28 marzo 2016 da La Voce di New York
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