Maestri di Strada è un’associazione di Napoli che opera contro l’abbandono scolastico e per coinvolgere i ragazzi in
contesti complessi con progetti educativi. Distribuisce in città il progetto di Adventerra “Anna e Michele nel paese di Quelchevuoitu” per educare i bambini ad un’alimentazione sana.
L’intervista al presidente di Maestri di Strada, Cesare Moreno, a cura di
Adventerra.
Quali sono i risultati che Maestri di Strada è riuscita ad ottenere sul territorio?
Grandi
risultati con i giovani: giovani di scuola media che hanno utilizzato
la scuola e i maestri di strada per crescere, giovani che non hanno
abbandonato la scuola
superiore al primo anno. Ci sono stati anche molti per cui il nostro
lavoro è stato inefficace bisogna dirlo perché per molte situazioni
l’azione di una sola struttura è inefficace. Ma la cosa di cui siamo più
soddisfatti è che cresce il numero dei giovani
che continua a restare in contatto con i maestri di strada e crescono
come cittadini attivi ed intraprendenti. Grandi risultati anche
nell’impiego di giovani professionisti non occupati nel lavoro educativo
con i più giovani: sta crescendo una comunità di
giovani che si aiutano reciprocamente, una maggiore solidarietà tra le
diverse classi di età, una voglia di iniziativa senza attesa rispetto ad
un sistema economico e di potere che dimostra in ogni modo di non amare
i giovani.
Quanto è grave oggi, in Italia e a Napoli, il fenomeno dell’abbandono scolastico?
Il
fenomeno è gravissimo e va molto oltre i numeri che vengono dati: c’è
un abbandono ‘interno’ alle classi, interno alla psiche individuale che
non temo di dire coinvolge
tutti gli studenti italiani a cui noi offriamo un mondo in cui non c’è
posto per loro e spesso non c’è posto per la speranza. La partita
decisiva non è recuperare i giovani che lasciano la scuola ma recuperare
tutti i giovani che hanno abbandonato in un modo
o in un altro la speranza e il desiderio di una crescita autentica.
Nella
vostra associazione ci sono educatori giovani ma anche meno giovani,
che con lo stesso entusiasmo cercano di migliorare il mondo. Il
cambiamento è uno dei
punti chiave del vostro lavoro di supporto, dato che quelli di
“transizione” sono i momenti più delicati nella vita dei ragazzi: da
quali punti può partire un cambiamento positivo?
Il
punto di attacco di ogni nostro lavoro educativo è la relazione, ossia
che si stabilisca con i giovani una relazione di amicizia, che non è
quella dell’adulto amichetto
che civetta coi giovani, ma l’amicizia che i filosofi antichi
ritenevano alla sommità delle relazioni umane: quella solidarietà umana
che ci fa riconoscere nell’altro ciò che noi stessi viviamo ed innanzi
tutto il disagio connesso al processo di trasformazione
della natura puramente biologica e naturale dell’uomo in soggetto
sociale, parte fondante di una cultura. Perché sottolineare questo?
Perché l’istituzione scolastica occidentale è basata sul rapporto tra
puri spiriti, tra menti già razionali, e trascura del
tutto ‘il cuore’ delle persone. Ogni degenerazione individuale del
rapporto di cura ed educativa che noi riscontriamo nella suola e nelle
relazioni sociali ha origine da un ‘errore sistematico’ fondante del
sistema di istruzione. Sul riconoscimento dell’altro
e del suo umano disagio – che è a monte del disagio sociale – è fondata
l’alleanza educativa tra educatori e giovani.
Immagino
molti ragazzi nei quartieri difficili trovino una fonte di “welfare” ed
un “sistema di valori” alternativo nei clan: qual è la portata del
fenomeno e voi
come cercate di contrastarlo?
Noi
facciamo vivere ai giovani una relazione umana autentica dentro cui
possono crescere e diventare padroni di sé. La nostra idea è che in
generale non è la camorra
ad attrarre i giovani, ma siamo noi a spingerli nelle sue braccia. I
giovani hanno una conoscenza diretta dello schifo della vita
camorristica, non hanno bisogno che lo spieghiamo noi, bisogna che gli
facciamo sperimentare e vivere delle relazioni realmente
accoglienti e protettive. Insomma le prediche non servono e rigirano il
coltello nella piaga. I nostri giovani vivono ogni giorno una doppia
legge: quella della solidarietà umana e quella della violenza e della
pena di morte e la stragrande maggioranza di
loro sceglie la vita civile, e non c’è bisogno dei maestri di strada
per fare questo. Se una parte dei giovani sceglie il sistema criminale
in realtà è perché ne è rimasto prigioniero e la forza dei legami
positivi è stata inadeguata. L’idea di troppi che
le buone relazioni nelle scuole e nei luoghi educativi siano poi
inficiate dal ‘ritorno a casa’ è una idea deterministica e anticulturale
che vede la persona umana come un calco passivo delle strutture
sociali. Questa idea è antieducativa ed anti umana. Purtroppo
molti educatori la ripetono come una litania senza rendersi conto di
quanto sia insensata.
L’educazione
alimentare per i giovani è molto importante, in particolare per i
bambini: come nasce la collaborazione con Adventerra?
La
cattiva alimentazione dei nostri giovani è parte di una pessimo
rapporto con il proprio corpo e di un pessimo rapporto con la propria
psiche: molti giovani ingurgitano
di tutto e non solo alimenti ma anche medicinali e poi anche sostanze
psicotrope. In realtà non riescono a prendersi cura di sé: il tono
muscolare e la presenza fisica sono sistematicamente depressi ed
ingurgitare cibo è un surrogato dell’attività. La cattiva
alimentazione è uno dei sintomi del malessere. Noi abbiamo affrontato
questo punto come al solito in modo laboratoriale: il nostro laboratorio
Terra Terra ricomincia dal luogo in cui il cibo si produce per far
vivere ai giovani il senso di una alimentazione
che serve a crescere e non a riempirsi. Il rapporto con Adventerra ne
viene come conseguenza naturale.
Come vedi Napoli tra 20 anni?
Abbiamo
fatto nostra la poesia di Danilo Dolci che dice: “sognare ciascuno come
oggi non è, ciascuno cresce solo se sognato”. Possiamo trasferire
questo slogan ad
una città? Sarebbe necessario un sognatore collettivo che oggi non c’è e
non è all’orizzonte, la politica locale e nazionale ha abbandonato da
tempo non solo i sogni ma la capacità stessa di sognare. Noi stiamo
cercando di coltivare piccoli gruppi di sognatori
e tanti altri, molti di più di quello che si immagina, lo fanno in
questa città. Tra venti anni spero che questi gruppi saranno più
numerosi e più coscienti di sé cosicché la città possa presentarsi ‘a
macchia di leopardo’ tra zone in cui prevalgono i sognatori
e zone in cui prevalgono gli assatanati dell’oggi. Il mio sogno è che
in questa mappa dei sognatori un posto importante lo abbiano le
disgraziate periferie di questa disgraziata città.
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