Lo scorso 18 febbraio avevamo dato notizia della circolare con cui il dirigente dell'Istituto Tecnico "Malignani" di Cervignano del Friuli
(Udine), Aldo Durì, vietava l'utilizzo del velo a scuola [clicca qui]. Immediata la replica dell'USR Friuli Venezia Giulia che annullava il provvedimento. L'8 marzo nell'aula magna del Liceo Einstein di Cervignano è stato organizato il convegno “Il velo islamico". Di seguito la cronaca dal Messaggero Veneto del 9 marzo 2015.
CERVIGNANO. Obbligo o libera scelta? Simbolo di un’identità in crisi
oppure soltanto frutto di un amore incondizionato nei confronti del
creatore? Il velo islamico resta un argomento di discussione
particolarmente complesso. Le posizioni sono differenti e difficilmente
conciliabili. Ieri mattina, al liceo scientifico Einstein di Cervignano,
controllato a vista da un imponente dispiegamento di forze dell’ordine,
è stato organizzato il convegno “Il velo islamico. Modelli culturali a
confronto: pluralismo e assimilazionismo”.
L’aula magna dell’istituto superiore cittadino è riuscita a fatica a
contenere tutti i presenti, studenti ma anche cittadini e rappresentanti
delle associazioni cervignanesi. Alcune donne di fede musulmana hanno
raccontato la loro esperienza diretta. C’è chi ha parlato di libera
scelta, consapevole e ponderata, e chi, residente a Udine, ha raccontato
di essersi sentita obbligata a non indossare il velo islamico per il
timore di non essere accettata.
Majda Badaoui, mediatrice culturale originaria del Marocco, risiede in
Fvg. «In Marocco frequentavo il liceo scientifico – la sua testimonianza
-. Quando sono arrivata in Italia non portavo il velo, ero molto
contraria. Per me era simbolo di una costrizione da parte dell’uomo.
Questa visione era dettata dal fatto che in Marocco, a scuola, non si
dava molta importanza allo studio della religione islamica. Una volta
arrivata in Italia ho iniziato a frequentare l’Università. Non di rado
mi veniva chiesto quale fosse la mia religione. Ho iniziato a riflettere
sull’argomento e a cercare di conoscere meglio l’Islam. Ho compreso che
Islam significa sottomissione non all’uomo ma a Dio e Dio è amore e
misericordia. Ho deciso di fare una scelta di vita, ho capito che la
religione islamica va compresa bene prima di criticare o dare giudizi.
Ho scelto liberamente di indossare il velo. È un atto di culto, un atto
di amore nei confronti del nostro creatore.
Maria, nella religione cristiana, porta il velo e l’abito lungo. C’è un
capitolo del Corano in cui si dice che Maria ha scelto di mettersi il
velo. Anche le suore lo indossano. L’Islam, lo ribadisco, non è
costrizione. Nessuno costringe le donne islamiche a indossare il velo.
Coprire il corpo significa avere rispetto per le donne e per noi stesse.
La donna non deve essere vista come un oggetto ma essere apprezzata per
la sua interiorità. Questo non vuol dire che io non rispetti chi porta
il bikini o la minigonna. Ognuno di noi deve essere lasciato libero di
scegliere. Se ci obbligano a togliere il velo ci tolgono la libertà».
La nipote di Majda, Fatima, ha frequentato il Malignani di Udine. In
classe era l’unica ragazza. «In cinque anni non ho mai avuto problemi –
racconta -. All’inizio percepivo un certo disagio, una comprensibile
curiosità nei miei confronti da parte dei miei compagni di classe. Il
velo non è un simbolo, è il mio modo di essere. Questo è stato compreso.
Ho parlato in varie classi della religione islamica e della donna
musulmana. È servito. I miei compagni volevano conoscere e comprendere.
Nessuno mi ha mai costretta a indossare il velo, è stata una mia libera
scelta».
Besjana, invece, ha fatto il percorso inverso. Si è sentita costretta a
vivere senza il velo. «Avrei voluto indossarlo – confessa –. Ho dovuto
toglierlo per poter lavorare, per sentirmi davvero integrata in Italia.
Sul posto di lavoro sono costretta a praticare il Ramadan di nascosto,
così come altre mie colleghe, perché il mio “capo” non vuole. Il timore è
che ci sia, mangiando meno, un deficit nel rendimento. A mio avviso ci
dovrebbe essere più rispetto da entrambe le parti».
Ricco di spunti l’intervento di Khaled Fouad Allam, docente di
sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste e autore del
saggio “Il Jihadista della porta accanto”. «Il velo – sostiene Allam -
assume oggi il significato di un’identità in crisi: oltre a esprimere un
malessere generalizzato nelle società islamiche, esso occulta il loro
cambiamento e ne esacerba le paure. Chi lo indossa, soprattutto in
occidente, lo fa per coercizione, per condizionamento, per
rivendicazione o per libera scelta. Le letture possibili sono molte, ma
tutte rimandano a una serie di conflitti irrisolti: il conflitto fra
islam e occidente, il conflitto dell’islam con se stesso, il conflitto
fra diritto e cultura. La scelta del preside, Aldo Durì, è stata
coraggiosa».
Diversa la posizione di Mohammed Hassani, referente dei giovani del Psm
Italia (Partecipazione e spiritualità musulmana), sezione Friuli
Venezia Giulia. «Le donne musulmane – le sue parole - portano il velo
perché è un’opera di culto, non un simbolo. Il corpo della donna deve
essere protetto, secondo l’Islam. Dobbiamo favorire la multiculturalità
tramite l’accettazione dell’altro».
(di
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