Presa Diretta, a Renzi non basta un tweet per coprire il disastro scuola
Quando
si dice l’eterogenesi dei mezzi. Questa volta i social media non hanno
cinguettato le magnifiche sorti e progressive della scuola italiana
millantata da Renzi & Co. Il programma intitolato “La nostra
scuola”, a Presa Diretta domenica sera [8 febbraio 2015], ha mostrato le drammatiche
condizioni in cui versano studenti e docenti, costretti a sopravvivere
senza fondi in edifici insalubri e pericolosi. E ha mostrato le immagini
degli insegnanti con centinaia di mozioni contro la proposta di riforma
del Governo, trattenuti dalle forze di polizia sulla scalinata del
MIUR.
Altro
che le parate d’occasione di Renzi e Giannini ad uso e consumo di una
stampa asservita. Altro che le campagne d’ascolto dal basso per una
riforma condivisa fino all’ultimo nonno.
Per
molto meno, in un paese civile, un ministro avrebbe rassegnato le sue
dimissioni. Un ministro che, peraltro, appena insediato al MIUR, non ha
esitato ad assumere il ruolo di capolista del suo ex partito per le
elezioni europee, mostrando totale indifferenza per il ruolo appena
assunto in Italia.
Dove la scuola è quella che ci hanno raccontato Iacona e la sua troupe, non quella che ci racconta il premier.
Abbiamo
visto immagini di un paese del terzo mondo, accompagnate dalle parole
chiare e senza retorica di chi in quei luoghi ci vive ogni giorno ed ha
avuto finalmente la possibilità di dire il vero. Che le scuole tirano
avanti con i contributi privati delle famiglie a fronte dell’elemosina
del Governo, che vagheggia investimenti prossimi venturi mentre ha
ancora tagliato milioni di euro nell’ultima legge di stabilità,
costringendoci a contrattazioni d’istituto da fame in cui tiriamo
quattro paghe per il lesso. Che le assunzioni dei docenti precari sono
un atto dovuto, imposto dalle normative europee e già previsto nella
Finanziaria del 2007, e che i supplenti non sono solo quelli delle
graduatorie ad esaurimento a cui Renzi ha promesso l’immissione in
ruolo, ma le tante altre migliaia su cui si continua a lucrare,
imponendo loro la frequenza di costosi corsi di formazione per avere
incarichi e per abilitarsi ma escludendoli da qualunque forma di
stabilizzazione. Che i tagli agli organici imposti da Tremonti sono
stati dichiarati illegittimi e che le regioni del centrosinistra e i
ministri dell’istruzione che si sono succeduti a Gelmini avrebbero
potuto sostenere i ricorsi e chiedere l’esecuzione delle sentenze del
Tar e del Consiglio di Stato e non l’hanno fatto. Dimostrando, in
concreto, che l’invocazione alla scuola fatta dal PD come priorità
politica e civile di questo Paese era solo uno specchietto da campagna
elettorale per le allodole chiamate a votare.
Abbiamo
visto che già esiste ed è depositata in Parlamento una legge di
iniziativa popolare che disegna il modello della buona scuola della
Costituzione e che rigetta quello renziano della privatizzazione coatta.
Ed è una legge che prevede l’innalzamento dell’obbligo, il biennio
unitario, la riduzione del numero degli studenti nelle classi: ciò che
davvero restituirebbe loro quella dignità e quella responsabilità
sottratte ogni giorno dal degrado in cui vivono e che li renderebbe
cittadini istruiti e consapevoli. Abbiamo visto che il faidate imposto a
madri e padri che comprano, puliscono, aggiustano, imbiancano è più
disperato che virtuoso. E che è umiliante accettare che i fondi per le
scuole siano direttamente proporzionali ai soldi che si spendono nel
supermercato di zona convenzionato col MIUR, perché significa scoprire
che anche la scuola dei nostri figli è considerata una merce.
Mentre
scorrevano queste immagini, nella redazione di Presa Diretta sono
arrivati tantissimi messaggi di solidarietà alla legge di iniziativa
popolare, insieme ai commenti piccati e saltabeccanti dei parlamentari
del PD e dei responsabili del MIUR, tutti tesi a negare, confutare,
invocare quell’onesto contraddittorio che loro stessi, con l’assunzione
dello slogan e della slide come unico format di un discorso politico
ormai virtuale e irreale, hanno deliberatamente gettato alle ortiche.
Ma
il re, finalmente, è nudo. E questa volta ci vorrà molto più di qualche
immagine colorata o di qualche cinguettio twittato e ritwittato a
convincere gli italiani che quella di Renzi e Giannini sia veramente la
buona scuola di cui questo Paese ha bisogno per ricominciare a sentirsi
civile.
Vogliamo cominciare con un nuovo ministro?
(Anna Angelucci, il manifesto, 10 febbraio 2015)
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