Anche quest'anno ci sono polemiche a proposito dei famigerati test
Invalsi nella scuola. Chi dice che sono indispensabili, chi dice che
fanno male ai bambini e alla scuola. Io, per esempio, la penso come
questi ultimi.
Vorrei porre però la questione, per una volta, in
modo diverso dal solito, ponendo una semplice domanda, sia ai favorevoli
che a chi non lo è. La domanda è questa: che rapporto c'è tra quello
che chiedono agli studenti i test Invalsi e quello che noi insegniamo
loro? O, in modo ancora più preciso: che rapporto c'è tra l'idea di
scuola e di formazione che c'è dietro ai test Invalsi e l'idea di scuola
che è descritta nella nostra Costituzione? Lo chiedo, perché ho la
sensazione che siano idee differenti. E che i programmi e i dettati
scolastici della nostra scuola di oggi - fortunatamente, per quanto mi
riguarda, - non coincidono assolutamente con quelli che poi si chiede
nei test agli studenti, creando una situazione di vera e propria
schizofrenia e confusione non solo tra gli studenti, ma anche tra i
docenti. Un esempio, ai docenti viene richiesto dalla scuola della
Costituzione la promozione delle «domande aperte» agli studenti, ma
l'Invalsi ha test chiusi, a crocetta. Non è richiesto allo studente di
compiere analisi e sintesi rispetto a ciò che apprende, né di avere
un'opinione o un minimo senso critico. I test sono pensati piuttosto,
nella maggioranza dei quesiti, come domande a risposta blindata, forse
in grado di accertare livelli minimi di capacità di calcolo matematico o
di competenze grammaticali o sintattiche, ma senza andare oltre. Anche
questa faccenda che non entrano nella valutazione di altre materie, che
senso ha? Molto semplicemente: perché insegnamo ai nostri studenti tanti
contenuti, se poi viene richiesto loro solo una abilità di comprensione
di un solo genere di testo? E questo solo per quanto riguarda lo studio
della lingua italiana, naturalmente. Alle superiori, per esempio, ore e
ore sono passate a studiare la storia della letteratura italiana, ma le
prove Invalsi non richiedono nulla su questo.
Dunque? Che senso ha?
Inoltre, ammettiamolo, la «cultura del test» abbia nel tempo crea
studenti meno capaci di esporre e di argomentare in modo coerente e
corretto, sia oralmente sia per iscritto: è questo che vogliamo? Non
erano forse i vecchi esami in seconda e quinta elementare?
Ancora:
il nostro unico strumento di valutazione di una persona che sta
crescendo è un test, non si perdono forse tutti quei segnali verbali e
non verbali che lo studente ci mette a disposizione nel percorso
didattico? Siamo sicuri che misurazione e valutazione sono sinonimi? Ma
poi, quali sono gli obiettivi dei test? Come e quando avviene la loro
restituzione a docenti, studenti, genitori degli studenti? Perché questa
restituzione non è trasparente? Quali sono i livelli minimi di qualità
del sistema di istruzione da garantire?
Quale modello di scuola si
intende realizzare? Com'é possibile stabilire un modo chiaro per
verificare se gli obiettivi siano stati raggiunti o meno? Ancora: i
responsabili dell'Invalsi sono a conoscenza che in Finlandia e negli
Stati Uniti, con i test, si è rilevato un calo nei risultati di
apprendimento e il nascere di una sorta di concorrenza fra le scuole, in
base al presunto merito? E le didattiche finalizzate ai test, oltre a
compromettere o meno la libertà di insegnamento, siamo sicuri che faccia
bene agli studenti?
Giuseppe Caliceti, il manifesto, 10 maggio 2013
Nessun commento:
Posta un commento