Un
noto centro commerciale dell’Eur, a Roma, organizza per novembre
"Openweek-Incontra le scuole a Euroma2": per cinque giorni, per 9 ore al
giorno, le scuole superiori
di zona pubblicizzeranno la propria ‘offerta didattica’ nei sontuosi
boulevards di Euroma2 (Shopping experience), contendendosi iscrizioni a
suon di dépliants colorati e video promozionali (si chiama
‘orientamento’). Nei pomeriggi si rivolgeranno ai clienti
della struttura, fra cui i genitori in cerca della futura scuola dei
figli; la mattina, il docile gregge degli alunni delle terze medie sarà
direttamente portato al centro commerciale e visiterà, fra una jeanseria
e un fast food, gli stand delle scuole superiori.
Tutto perfetto, dunque?
In
realtà quel che offre il centro commerciale (“stand” e “servizio di
trasporto da scuola a Euroma2 e ritorno”) è ben ripagato dall’afflusso
di mille, duemila tredicenni,
seguiti dai loro genitori: incassi extra e pubblicità gratis. È la
sacrosanta logica di una azienda. Ma può essere la logica delle scuole
pubbliche? No: anche perché da molti anni ci sono già incontri di
orientamento, mattutini e pomeridiani, nelle scuole
medie come nelle superiori. Se istituti scolastici pubblici si prestano
a questo gioco (che costa, ad ognuno, oltre un migliaio di euro per gli
straordinari), è solo perché la scuola dell’autonomia è alla disperata
ricerca di iscrizioni: quando un solo concorrente
si fa avanti, tutti gli altri concorrenti si sentono in obbligo di
rimanere al passo. In tutto ciò, ovviamente, la qualità effettiva
dell’insegnamento va sullo sfondo. Anzi, illudendosi di offrire un
servizio in più all’utenza, le scuole si fanno strumento
di una attività commerciale; peggio ancora, abdicano alla propria
funzione educativa e conducono i propri alunni, in orario scolastico,
non a conoscere il mondo, ma in un centro commerciale. È una nuova
materia: educazione alla shopping experience. Non serve
dir altro.
Gianfranco Mosconi
13/09/2015 - 16:58
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