Pubblichiamo un articolo di Daniele Novara, psicopedagogista e fondatore del Centro psicopedagogico della pace e della gestione dei conflitti (http://www.cppp.it/).
TUTTI I BAMBINI SONO SPECIALI - Quando la discriminazione assume le parvenze di una diagnosi medica
Tre anni fa, a una serata in memoria di Lorenzo Braibanti, grande medico piacentino che portò il parto naturale di Leboyer
in Italia, intervenne anche il figlio, Paride, docente di Psicologia
della salute all’Università di Bergamo. Mi colpì il suo pensiero sulla
situazione dei bambini in Italia, in particolare la preoccupazione che
si stesse andando verso una sanitarizzazione delle naturali differenze
infantili; che, cioè, le forme necessariamente imperfette in cui
l’infanzia si esprime stessero per essere confuse con vere e proprie
patologie.
Tre anni non sono molti ma mi pare che questa preoccupazione stia diventando una realtà.
Invece
che creare le condizioni perché i bambini e le bambine facciano una
vita adeguata ai loro bisogni e ai loro diritti (gioco, socialità,
motricità, natura, sviluppo del potenziale di apprendimento, sviluppo
delle proprie autonomie) si è presa la strada più comoda e banale:
rubricare come malattia ogni sorta di comportamento infantile che
disturba in qualche modo gli adulti.
Ad
esempio: se un bambino, superati i 3 anni, non ha ancora raggiunto il
controllo sfinterico e addirittura a 10 anni utilizza ancora il
pannolino di notte, lo si porta dall’urologo alla ricerca di improbabili
disturbi fisiologici e magari di farmaci di dubbia pertinenza. Non
sarebbe più semplice organizzare da subito una buona gestione delle
autonomie togliendo il pannolino entro i 3 anni?
Il
diritto di ogni bambino a essere aiutato a sviluppare le autonomie nel
rispetto alle proprie capacità è la base stessa della vita e della
crescita. Se l’educazione non va in questa direzione, ma ritarda
sistematicamente l’indipendenza, si creano piccole e grandi disabilità.
Un
altro esempio ci arriva dall’“allarme violenza”. Sempre più spesso le
scuole segnalano la presenza di bambini dai 5 ai 7 anni definiti
come…VIOLENTI! Il più delle volte sono soprattutto soggetti molto
vivaci, iper espansivi, con una difficoltà a stare fermi per più di
qualche decina di minuti. Definirli violenti è un azzardo.
Occorre
usare adeguatamente i termini. Possiamo parlare di un eccesso di
aggressività, di una difficoltà a stare nei banchi dalle 8 alle 16 (il
caso di alcuni tempi pieni davvero
molto ossessivi!), ma non di “violenza”. È poi illegittimo sospendere
per “punizione” l’intervallo, ossia l’unico vero momento di pausa,
specie per questi bambini che ne hanno un bisogno estremo.
Anche su questo occorre ricordare due diritti imprescindibili dei bambini: il diritto alla motricità, ossia all’uso delle mani e delle gambe per muoversi e giocare; il diritto a un buon processo di apprendimento che preveda pause adeguate e occasioni di didattica sociale, di gruppo, di interazione fra pari.
Viceversa
ci troviamo con una scuola sempre più confinata nello spazio angusto e
claustrofobico di una metodologia frontale, carica di contenuti da
mandare a memoria. Una metodologia sempre più arroccata sul sistema lezione-studio-interrogazione.
È il modello INVALSI,
ossia il puro e semplice ritorno al nozionismo, alla risposta esatta,
ai test se non ai quiz. La scuola degli apprendimenti reali, delle
competenze, della valutazione evolutiva piuttosto che assoluta è stata
letteralmente cancellata per far posto alla peggiore versione della scuola di una volta.
L’insegnamento
digitalizzato non sembra in grado di opporsi a questa tendenza, anzi
c’è il rischio che la peggiori ulteriormente. Senza formazione
pedagogica e didattica per gli insegnanti, che sono la risorsa più
importante per la scuola pubblica, è difficile se non impossibile che un
TABLET o una LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) possano sopperire
ai basilari della professione: avere una predisposizione personale al
lavoro formativo, saper gestire un gruppo classe, saper impostare un
programma efficace di apprendimento che motivi gli alunni, collaborare
coi colleghi.
Segnalo infine una notizia interessante. Allen Frances, famoso psichiatra americano fra i principali autori del manuale diagnostico DSM IV in uso in tutti i Centri Psichiatrici del mondo, ha appena pubblicato un libro dal titolo significativo Primo, non curare chi è normale. Contro l’invenzione delle malattie (Bollati Boringhieri, Torino 2013) in cui senza mezzi termini prende posizione contro la medicalizzazione della normalità.
Frances,
con la lucidità del “pentito”, lancia un grido di allarme: nel DSM V le
diagnosi, previste nel DSM IV, sono state allargate a dismisura fino a
includere comportamenti e tratti caratteriali non patologici, e la colpa
non è solo dei medici ma soprattutto delle case farmaceutiche e dei
tanti interessi che sulle diagnosi psichiatriche costruiscono la propria
fortuna.
Si rischia lo stesso errore con i bambini. La recente norma scolastica sui BES (Bisogni Educativi Speciali)
allarga ulteriormente la possibilità di trasformare un bambino vivace
in un bambino “speciale”: da tenere sotto vigilanza più o meno stretta
col rischio in realtà di una velata forma di discriminazione. La norma è
eccessiva e sottovaluta un aspetto evidente: che tutti i bambini sono
speciali, che il loro potenziale neurologico e fisiologico è plastico e
quindi può migliorare, che se si fanno le mosse giuste tutti possono
esprimere le loro risorse, che i casi davvero irriducibili sono
rarissimi, che i bambini e le bambine hanno diritto di fare i bambini.
Con tutte le scocciature che possono causare agli adulti, specie a
quelli che si sono dimenticati troppo rapidamente di essere stati a loro
volta dei piccoli cuccioli.Daniele Novara
(pubblicato in Conflitti, Rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica, n.1/2014)
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