31 lug 2016

no ai compiti a casa, diritto al riposo

Ha raccolto più di 15 mila adesione la petizione di un preside genovese, Maurizio Parodi, e di diverse associazioni, con la quale si chiede che i compiti nella scuola dell'obbligo siano aboliti [clicca qui]. Secondo i promotori dell'iniziativa i compiti a casa sono "inutili, dannosi, disciminanti, prevaricanti, impropri, limitanti, stressanti, malsani" [fonte: la trasmissione "Dietro la lavagna" di Radio Popolare dell'8 gen 2015 dal minuto 4] .
E' un tema di cui si discute da diverso tempo. 
Per i favorevoli all'eliminazione dei compiti, il modello scolastico di riferimento è quello finlandese, giudicato  il migliore al mondo. Come ha fatto la Finlandia a raggiungere questo invidiabile primato lo chiede il regista americano Michael Moore al Ministro dellIstruzione finlandese, Krista Kiuru nel suo documentario Where to invade next”: ”Abbiamo abolito i compiti a casarisponde il Ministro, sostenendo che l'eliminazione dei compiti è necessaria per combattere lo “stress degli studenti” che ostacola il processo di apprendimento [il frammento del film].
Nel 2014  l'OCSE ha pubblicato uno studio dal titolo molto eloquente: "I compiti a casa perpetuano le disuguaglianze in materia di istruzione?" [clicca qui per il testo in inglese del documento "Pisa in Focus 46 - non sembra disponibile la traduzione in italiano]. I compiti, secondo gli esperti dell'OCSE,  possono avere la conseguenza di allargare il divario tra studenti di condizioni socio-economiche differenti. Lo studio rileva un divario notevole nelle ore trascorse settimanalmente a casa facendo compiti tra chi è avvantaggiato socio-economicamente e chi non lo è: gli studenti favoriti dal punto di vista socio-economico studiano di più (media OCSE +1,6 ore). In Italia il divario è di quasi 4 ore: chi può studia, chi non può rimane indietro. In sintesi, una deriva classista accentuata dalla tendenza della scuola italiana a lasciare molti compiti per casa. Da qui la propensione a chiedere che tutte le attività si svolgano in ambito scolastico con l'ovvia conseguenza di personalizzare o differenziare l’insegnamento. Per un commento allo studio dell'OCSE si legga anche una nota dal sito dell'Associazione Docenti e Dirigenti scolastici Italiani [clicca qui].
Il tema dei compiti a casa è stato ripreso recentemente da un quotidiano che, pur con alcune imprecisioni, riporta la battaglia che sta conducendo una mamma di una scuola di Milano del 9° Municipio, Anna Santoiemma, che ricordiamo attiva nell'ambito della ristorazione scolastica [clicca qui]. Niente riunioni carbonare, e poi il tema principale non sono i compiti estivi, quanto quelli in corso d'anno scolastico (come ci ha confermato la signora Santoiemma): "Il sogno sarebbe, a partire da settembre, che vengano aboliti i compiti a casa. Spetta alle maestre trovare il modo di completare il programma nelle normali ore di lezione, senza costringere le famiglie a un lavoro extra. Non si può sovraccaricare di lavoro bambini che stanno a scuola ogni giorno fino alle 16.30". 

Di seguito l'articolo del quotidiano la Repubblica del 21 luglio 2016: 
Milano, la disobbedienza delle mamme sui compiti delle vacanze: "Diritto al riposo per i bimbi" (Franco Vanni, la Repubblica, 21 luglio 2016)
La protesta organizzata in una scuola elementare, dove è partita la rivolta d'estate: "I nostri figli si danno da fare tutto l'anno, ora devono giocare e riposare"
Una riunione carbonara tra mam
me, prima della fine delle lezioni, per decidere come agire. "Ci siamo guardate negli occhi e abbiamo deciso di non cedere - racconta Anna Santoiemma, la più determinata - Eravamo una dozzina di mamme. Vale a dire la maggioranza, visto che in tutto siamo venti. Siamo d'accordo: da parte delle maestre, assegnare i compiti delle vacanze è davvero troppo. I nostri figli si danno da fare tutto l'anno, hanno lavorato anche a casa ogni giorno, ora hanno diritto di giocare e riposare. Per questo abbiamo deciso di consentire loro di non fare i compiti. Vogliamo dare un segnale".
La classe è la terza A (da settembre, quarta A) della scuola primaria Giovanni Battista Pirelli, in via Goffredo da Bussero. "Il tempo libero è prezioso, per chi ancora deve imparare tutto della vita - dice Santoiemma - A otto o nove anni, i bambini hanno diritto di fare le loro vacanze senza costrizioni e pensieri. A settembre ci riuniremo per capire quanti di noi genitori hanno davvero tenuto duro".

15 lug 2016

a cosa servono le donne nella scuola italiana? (di marcella farioli)

La pessima riforma della scuola, trionfalmente varata da Renzi dopo anni di retorica sulla meritocrazia e contro ‘il falso egualitarismo della sinistra’, porta a termine un processo di smantellamento dell’istruzione pubblica iniziato negli anni ’80 e promosso in egual misura dal centro destra e dal centro sinistra. Obbedendo ai dettami della tavola rotonda dei confindustriali europei (ERT) – veri registi occulti dell’operazione insieme a enti privati come l’associazione TreEllle, la Fondazione Agnelli e altre emanazioni dell’imprenditoria italiana – sono state progressivamente introdotte nel sistema pubblico innumerevoli strutture utili a snaturare la scuola come organismo orizzontale e, almeno in teoria, livellatore delle differenze sociali: sdoganamento di lessico e modelli aziendali, gerarchizzazione degli insegnanti, sbilanciamento nella distribuzione dei poteri in senso verticistico, aumento del divario tra le scuole di serie A, con utenza altoborghese e benestante, e le scuole di serie B, in cui viene confinata la popolazione di bassa estrazione sociale.

Certo la scuola pubblica italiana non era esente dal classismo nemmeno prima della riforma Renzi: da sempre essa ha funzionato come dispositivo utile a riprodurre cittadini integrati e sottomessi all’autorità e lavoratori docili e acritici, a trasmettere come ‘neutri’ i valori dominanti, a selezionare per gli studenti diversi percorsi di studio a seconda della loro provenienza sociale. Al giorno d’oggi in Italia – e la ‘cattiva scuola’ renziana è destinata ad aggravare il fenomeno – il rapporto tra classe sociale dello studente, indirizzo di studi prescelto e successo scolastico è pressoché deterministico: i privilegi o gli svantaggi della famiglia d’origine vengono trasmessi ai figli sotto forma di modelli di condotta e codice linguistico, e ne orientano le scelte scolastiche e il futuro lavorativo. La famiglia rende soggettive le differenze oggettive trasformando le diseguaglianze socio-economiche in diseguaglianze cognitive e culturali; la scuola a sua volta, invece di sanare lo squilibrio, lo legittima, attribuendo il successo o l’insuccesso esclusivamente alla presenza o all’assenza negli individui di doti innate o di merito.

I contenuti e le modalità didattiche, che sono un arbitrario culturale, vengono proposti e avvertiti come forme di sapere universali, consacrate dall’uso o dalla loro congruenza con lo Zeitgeist e con gli interessi materiali delle classi egemoni: la “neutralità” attribuita all’insegnante modello, non è altro che una unilateralità fittizia, che consiste nel non proporre mai valori difformi da quelli dominanti, dissimulando la funzione politica assolta dal sistema scolastico.
In questo modello di scuola in Italia e, in percentuali solo lievemente inferiori anche nel resto d’Europa, il personale docente è rappresentato per la maggior parte da donne. Nel nostro paese le insegnanti rappresentano il 78% del corpo docente. Una percentuale che sale fino a quasi il 100% nelle scuole dell’infanzia (fino alla legge 903 del 1977 era addirittura vietato agli uomini insegnarvi), al 95% nella scuola primaria e all’85% nella scuola secondaria di primo grado. Alle superiori le donne costituiscono il 59% del totale, con punte dell’85% nei licei pedagogici, a riprova del fatto che l’educazione è ritenuta un campo prettamente femminile. Il numero di donne diminuisce bruscamente con l’aumentare del livello stipendiale e del prestigio sociale del grado di istruzione: nell’università italiana le ricercatrici sono il 35% del totale, solo il 20% le ordinarie. Le donne che nel 2013 ricoprivano il ruolo di rettore erano 5 su 78 secondo i dati del Miur.

Esiste un rapporto tra la funzione ideologica e disciplinatrice della scuola e la sua progressiva femminilizzazione negli ultimi cinquant’anni in Italia?

La risposta è senza dubbio affermativa.

Le ragioni del fenomeno sono molteplici e, ahimè, ben poco edificanti. Prima di tutto, l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e primaria è assimilato nella mentalità corrente al lavoro di cura, prerogativa ‘innata’ femminile e comparabile ad altri lavori a carattere oblativo e caritatevole, come quello di infermiera o operatrice dei servizi sociali. Poiché le donne sono ritenute naturaliter pazienti e inclini alla dolcezza, la ‘cura’ dei bambini spetta a loro anche a scuola come prolungamento del ruolo materno. Tale visione è legata al ruolo della donna nella famiglia: una ‘natura’ materna, dedita al lavoro domestico e di riproduzione gratuito, subordinata a un ordine maschile che non necessita di legittimarsi, ma a sua volta soggetto di dominazione sui figli, cui trasmette valori congruenti con il loro futuro ruolo di sottoposti all’ordine sociale.

Questo radicato stereotipo culturale, insieme al basso livello salariale dei docenti della scuola dell’infanzia e primaria – troppo scarso per costituire il salario principale della famiglia italiana – contribuisce fin dalle origini a rendere in esse ultraminoritaria la presenza maschile, oltre a favorire i conti dello stato: la legge Casati del 1860, infatti, che stabilì il nuovo assetto della scuola pubblica nell’Italia post-unitaria, prevedeva che lo stipendio delle maestre fosse inferiore di un terzo rispetto a quello dei maestri. L’effetto psicologico che ancor oggi deriva dalla quasi totale femminilizzazione della primaria è evidente: man mano che cresce e accede ai livelli superiori di scuola, lo studente viene messo di fronte al fatto che più il contenuto culturale della scuola si ‘eleva’ e si specializza, più esso è affidato a maschi. Gli uomini vengono dunque percepiti come portatori di una sapienza più ‘alta’, col risultato di svalorizzare ulterirmente il ruolo femminile nell’istruzione.

12 lug 2016

tutta un'altra scuola, occasione per incontrarsi e parlare di scuola e educazione

Tutta un’altra scuola” è l’idea che Terra Nuova, rivista che propone stili di vita sostenibili, porta avanti insieme a un gruppo composto da rappresentanti di realtà educative e scolastiche che hanno scelto di mettere il bambino al centro. Fanno parte del gruppo promotore Sabino Pavone vicepresidente nazionale della Fondazione delle Scuole Steiner Waldorf; Iselda Barghini e Daniela Pampaloni del Progetto Senza Zaino; Valentina Giovannini, Monia Bianchi e Marta Monnecchi di Scuola Città Pestalozzi; Adele Caprio autrice del libro “Pedagogia: un’arte in divenire”; Cecilia Fazioli e Valerio Donati del progetto Scuola CampoVolo di Faenza; il professor Paolo Mottana docente di filosofia dell’educazione all’università Milano Bicocca; Micaela Mecocci docente e formatrice della scuola Montessori; Erika Di Martino referente per l’homeschooling in Italia; Christian Mancini esperto di educazione esperienziale; Andrea Sola  esperto di educazione libertaria; Gloria Germani. 
Il 10 e 11 settembre 2016, a Vaiano, in provincia di Prato, avrà luogo  la seconda edizione della manifestazione di due giorni, "Tutta un'altra scuola". Si rinnova, dopo l'esperienza dello scorso anno, l'occasione per incontrarsi e parlare di "scuole" e di educazione, senza confini, gabbie né tabù. Sarà un momento per alimentare una comunità in fermento che sta crescendo. Gli incontri e le conferenze (accesso libero e gratuito) del sabato e della domenica e i seminari del sabato (gli unici con posti limitati e con quota di iscrizione) si terranno nell’area della scuola media Bartolini (ingresso via Vitali), area che ospiterà anche laboratori, attività e animazioni per i bambini. In piazza 1° Maggio teatro di paglia con laboratori musicali e coincidenze sceniche. Alla Casa del Popolo laboratori per bimbi e ragazzi. Grande evento giovani la domenica ai Giardini del Cangione (sempre a ingresso libero e gratuito). Poi street food bio e a chilometro zero in piazza Galilei. Il tutto in un clima di festa.

Il programma completo: [clicca qui]
Il sito dell'iniziativa: http://www.tuttaunaltrascuola.it/
Il gruppo Facebook [clicca qui