18 nov 2015

i bambini ci parlano: la guerra vista dai bambini (di g. caliceti)

A scuola. «Ci sono stati i botti. Ma era una bomba. È una banda che si chiama Isi». «Ma i morti erano veri?». «Tuta nera e fucili». I piccoli allievi di una elementare emiliana rispondono al maestro Caliceti 


Qualcuno di voi alla tv ha visto per caso cosa è successo a Parigi nell’ultimo fine settimana?

«Io! Io ho visto la partita Germania-Francia. In tv. Su Sky. Ci sono stati i botti. Ma era una bomba. È arrivata una banda che si chiama Isi. Ha ucciso alcuni tifosi. I giocatori no perché erano negli spogliatoi». «Anche io. Ho visto che alla fine della partita i tifosi, invece di andare a casa, sono rimasti in piedi sul campo e avevano paura di andare fuori dallo stadio. Ma non ho capito perché». «Io ho visto in tv delle immagini su un canale che davanti a un negozio c’era il vetro crepato». «Io pensavo che non erano morti veri. Perché certe volte in tv ci sono molti film con dei morti. Ma mia mamma mi ha detto che non sono morti veri, usano il sugo di pomodoro per far finta che sono morti veri, ma non lo sono. Però mia mamma ha detto che quelli erano veri». «Ma erano veri veramente? Neanche io pensavo che erano morti veri!». «Mio papà mi ha detto che quello che fanno vedere alla tv è tutto finto tranne quello che fanno vedere al telegiornale, che quello invece è vero. Per questo non mi fa mai vedere il telegiornale e neanche Striscia la Notizia. Però la partita l’ho vista anche io e ho visto che loro rimanevano lì sul campo, gli spettatori, perché li avevano chiusi dentro. Alcuni si abbracciavano, piangevano, volevano uscire». «Ma no, non uscivano perché se uscivano avevano paura che i ladri li ammazzavano con il mitra e le pistole».

Ci sono altri che hanno visto alla tv le immagini di Parigi e vogliono parlarne?

«Avevano messo delle candele e delle rose, dei fiori sulla strada, per quelli che sono stati uccisi». «Io in tv ho sentito che dopo erano venute le teste di cuoio, che sono come dei poliziotti speciali e loro hanno liberato i prigionieri e hanno ucciso i nemici». «Io ho sentito che me lo ho detto anche mia mamma che venerdì sera c’erano tre punti invasi e sabato mattina sei punti invasi. A Parigi, che è la capitale della Francia». «Anche io ho visto le immagini di Parigi ma non mi va di parlarne perché non le ho capite e non mi sono neppure piaciute». «Io ho visto un ragazzo che si stava buttando giù da un palazzo». «Io ieri sono andato alla partita di pallavolo di mia sorella, qui alla palestra di Calerno. Loro, le giocatrici, le giocatrici di tutte e due le squadre, hanno fatto un minuto di silenzio per ricordare i morti di Parigi». «Noi a messa, cioè a catechismo, anche noi abbiamo fatto un minuto di silenzio, ma abbiamo fatto tanto silenzio, sempre per ricordarci quelli morti di Parigi, abbiamo fatto una preghiera, Padre, Figlio Spirito Santo, Amen». «Abbiamo detto il Padre Nostro». «Io invece ho visto sabato mattina o pomeriggio che in Francia erano entrati quelli dell’Isi, con delle pistole e dei fucili e delle bombe, erano entrati dentro un teatro e hanno ucciso delle persone e hanno poi trascinato fuori quelli feriti e quelli morti».

Nella nostra classe ci sono anche dei bambini che vengono dal Marocco, dalla Tunisia, dall’India … Loro non hanno parlato. Loro in tv non hanno visto niente? I loro genitori non gli hanno detto niente?

«No, io in tv non ho visto questo, ma solo i cartoni». «Neanche io». «Mia mamma e mio papà non mi hanno detto niente perché poi, loro, le cose da grandi non le dicono sempre a me, perché io sono ancora un po’ piccolo…». «No, i miei genitori certe cose alla tv non me le fanno vedere».

Chi sono queste persone che hanno ucciso altre persone? L’avete capito? Avete capito perché hanno fatto questa cosa bruttissima di uccidere altre persone?

«Io no, non ho capito bene. Ho solo capito che erano molto cattivi perché volevano uccidere tutti, anche i bambini» «Loro per me ci hanno ucciso perché noi crediamo in una religione, loro invece in un’altra». «Ma uno che crede in un’altra religione deve uccidere gli altri, Giuseppe? Può ucciderli?». «Loro hanno ucciso perché sono di una banda di assassini che si chiama Isi». «Non lo so chi erano, io non ho guardato bene». «Neanche io». «Forse li hanno ucciso perché volevano i soldi». «Perché c’è un assassino». «Per me loro volevano uccidere tutti perché vogliono governare tutto il mondo, cioè comandare e fare quello che vogliono». «Loro hanno ucciso perché secondo me vogliono invadere le città grandi, perché vogliono prendere le cose e prendere anche tanti soldi. Tipo se uccidi tutti quelli della banca, dopo prendi tutti i soldi della banca». «Per me loro volevano ucciderci perché a Parigi c’erano tanti giovani al concerto e loro volevano uccidere i giovani».

Ma chi sono quelli della banda dell’Isi?

«È la banda di Francia». «Erano dei barboni, per me. Che non sapevano cosa fare e non avevano niente da mangiare. Allora si sono stancati di fare sempre l’elemosina, anche perché nessuno gli dava mai un soldo e loro non sapevano cosa mangiare. Allora si sono stancati di aspettare l’elemosina e hanno preso dei fucili e hanno iniziato a sparare come dei pazzi, hanno iniziato ad ammazzare tutti, perché poi il mondo è anche pieno di pazzi, mio padre me lo dice sempre». «Erano dei criminali, quelli, ma non so da dove saltavano fuori, tipo da altri Paesi, da New-York, per esempio». «No, era della Siria, che è un Paese lontano». «Io ieri in tv ho visto una cosa che non ho capito: che c’erano tante macchine con degli uomini come una tuta e dei fucili e però non ci ho capito niente». «Per me sono dei ladri che vogliono rubarci tutto. Poi loro hanno preso anche delle persone e le tenevano prigioniere». «Io ho capito che è scoppiata la guerra e spero che non scoppia anche da noi perché a me non piace».

Ma secondo voi, perché scoppiano le guerre?

«Per vendetta». «Faccio un esempio: ci sono due che vogliono qualcosa, tipo una palla. Allora la vogliono tutti e due ma c’è una palla sola. Allora bisticciano per quello, perché nessuno vuole rimanere senza palla». «Per me le guerre nascono perché ci sono le pistole e le bombe, altrimenti non si riuscivano a fare la guerra o la facevano per finta». «Secondo me una guerra nasce dall’invidia, perché vogliono essere tutti più belli. O più belli o più ricchi». «Anche secondo me, perché vogliono dei soldi». «Oppure ci sono due che vogliono comandare tutti e due e nessuno vuole ubbidire. Tutti vogliono avere ragione. Allora bisticciano». «La guerra sono i bisticci dei grandi. Però sono più pericolosi perché le pistole non sono finte, non sono giocattoli, non sono pistole con dentro l’acqua, sono vere, ma come quelle dei cacciatori, cioè uccidono veramente. Tranne nei film che fanno finta di morire». «Io in tv ho visto che avevano acceso dei lumini sopra una strada come in un cimitero». «Anche io, poi ci avevano messo anche dei fiori per i morti».

Ma chi sono quelli che sono morti? L’avete capito?

«Io sì. Erano dei Francesi perché Parigi è in Francia». «Maestro, ma Roma è più vicina o più lontana di Parigi?».

Perché, hai paura che vengono a sparare anche qui?

«Io sì! Molto! Ho molta paura!». «Hanno ucciso delle donne e degli uomini». «Io ho visto che erano giovani». «Però dei giocatori della Francia e dell’altra squadra non è morto nessuno perché loro si sono nascosti dentro gli spogliatoi, sottoterra». «Io ho visto che è morta anche una ragazza di Venezia che era bellissima. Lei era lì a studiare. Anzi, era andata a vedere un concerto di musica rock».

Che sentimenti avete provato guardando la tv?
«Io mi sono sentita un po’ male perché ho pensato che se magari domani ci capitava a noi… Insomma, avevo paura». «Io una volta sono andato in vacanza a Parigi con la mia famiglia, ma per fortuna non c’era nessuna guerra». «Io ho provato un po’ di tristezza, ma non tanto perché ho cambiato subito canale e ho visto i cartoni animati, perché a me piacciono di più». «A me queste cose non interessano perché sono robe da grandi». «A me è dispiaciuto per la partita. Perché una volta sono andato anche io allo stadio con mio papà ma dopo voglio tornare subito a casa».
(Giuseppe Caliceti, il manifesto, 18 novembre 2015)

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