Posta
e risposta tra Giuseppe Caliceti e Graziano Delrio, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel Governo Renzi, sulla cittadinanza dei
bambini nati in Italia (dal quotidiano il manifesto).
[1. novembre 2014] Caro Graziano,
ti ricordi quando eri sindaco di Reggio Emilia e capo dell’Anci e io
sono venuto da te a portarti il mio libro «Italiani, per esempio.
L’Italia vista dai bambini immigrati», da cui è nata la «nostra» bella
campagna di cittadinanza «L’Italia sono anch’io» insieme a Feltrinelli, Cgil nazionale, Arci Nazionale, Caritas e tante altre associazioni e soggetti del mondo civile?
Quanto entusiasmo! Quante speranze!
Ti disturbo perché l’altra settimana ho sentito la
dichiarazione del presidente del Consiglio sulla volontà di
introdurre lo ius soli «temperato».
Se ho capito bene, per i ragazzi stranieri nati e/o cresciuti in
Italia, verrebbe subordinato al completamento di un ciclo di
studi: la scuola dell’obbligo che in Italia termina a 16 anni o la
secondaria superiore per chi è arrivato qui adolescente. Tanta
enfasi nell’annuncio, per poi abbassare la soglia di due soli anni?
Per me, te lo confesso, è stata una delusione.
E per te? Non si poteva proprio fare niente di meglio?
Insomma, rispetto alla situazione di oggi, — che noi, insieme
a tanti altri, ritenevamo assurda e vecchia, — si abbasserebbe di
soli due anni l’età di accesso alla cittadinanza. E prima? Da 0 a 16
anni? Un bambino nato in Italia figlio di immigrati,
continuerebbero ad essere considerato straniero in patria? Nel
Paese dove è nato e cresciuto? Un invisibile? Cosa cambia? Sei
invisibile per 16 anni invece che per 18? Mah.
Ti ricordi la lettera della piccola Lamiaa Zilaft [clicca qui] che ci ha tanto commosso, Graziano? L’ha
letta anche a Roma, dove poi sei andato anche tu. Pensi che lei e i suoi
genitori siano soddisfatti?
Come tu sai bene, caro Graziano, ci sono 200 mila firme per lo «ius
soli». Hai contribuito anche tu a raccoglierle con grande impegno
e determinazione. E sai che in Parlamento giace da anni una
proposta di legge di iniziativa popolare di riforma della
cittadinanza per la quale la campagna «L’Italia sono anch’io», di cui tu sei stato il principale testimonial politico, ha raccolto ben 200mila firme, che prevede sì uno ius soli temperato, ma condizionato soltanto alla residenza di uno dei genitori da almeno un anno.
Sai inoltre, caro Graziano, che la competente Commissione della
Camera, dopo varie audizioni di organizzazioni sociali che sul tema
lavorano sta lavorando a un testo unificato da portare in Aula.
Insomma, che ce ne facciamo di una legge che, di fatto, non riforma l’attuale normativa sulla cittadinanza?
Non valeva che il tuo amico Matteo facesse un annuncio in meno, —
o magari lo facesse senza fretta, tra qualche mese, — ma annunciando
qualcosa di realmente significativo? O mi sbaglio io?
A proposito, se per caso non l’hai ancora fatto, ti allego qui di
seguito la lettera di Lamiaa.
Fagliela leggere, a Matteo. Ciao e buon lavoro.
Giuseppe Caliceti
[5 novembre 2014] Caro Giuseppe,
non ho dimenticato la nostra battaglia e tutti gli amici dell’Italia
sono Anch’io. Non mi stancherò mai di leggere e di far leggere la
lettera di Laamia.
Soprattutto non abbiamo messo nel cassetto i volti e le storie di
tanti che ci hanno chiesto di far diventare questo paese la loro
patria non solo di fatto ma anche di diritto. Il governo, come promesso
dal presidente Renzi, vuole compiere questo passo.
È presto per dirsi delusi sulla legge di cittadinanza che andrà
in discussione subito dopo le riforme elettorali e costituzionali.
Intanto è bene chiarire che la sintesi tra le proposte di legge
in campo deve ancora essere fatta e che la posizione del governo
espressa da Matteo Renzi è tutt’altro che distante dalla strada che
abbiamo percorso insieme.
Certo che ho ben presente per che cosa ci siamo impegnati e che
cosa abbiamo fatto insieme con L’Italia sono Anch’io: ci siamo
impegnati anche noi per uno «ius soli temperato» che è diverso da uno
«ius soli puro», un diritto che permetta di essere cittadino a chi
è nato in Italia da genitori legalmente residenti da almeno un anno
e per chi non vi è nato, ma arrivato minorenne, di diventarlo da
maggiorenne con diverse possibilità, tra cui quella di aver
terminato un ciclo di studi, che non abbiamo inteso come l’intero
ciclo dell’obbligo.
Le premesse, che tu hai ricordato, sono state e sono condivise.
Abbiamo sostenuto la campagna per riformare la legge perché
sappiamo, ed è ormai dominio comune, che le ragazze e i ragazzi di
origine straniera e che vivono in Italia sono italiani a tutti gli
effetti, tranne che nei diritti.
Sono convinto anche io che l’ottenimento della cittadinanza al
termine del ciclo dell’obbligo, a 16 anni, non rappresenti
assolutamente il cambio di passo necessario. Sapevamo, quando
abbiamo promosso e sostenuto la nostra campagna, molto difficile,
che non lo facevamo solo per testimonianza e che saremmo stati pronti
a sostenere il parlamento in una mediazione che salvaguardasse
comunque i principi cardine della nostra proposta per dare
risposte dignitose ai nativi e ai non nativi.
Siamo solo all’inizio della parte più importante del nostro cammino
per cambiare il diritto di cittadinanza; oggi ci sono tanti in
parlamento che hanno fatto con noi la battaglia e che la
continueranno a fare. Io sarò al loro fianco come sempre.
Non ho cambiato idea. Speriamo di non deludere voi e tutti quei ragazzi che si sentono e sono italiani.
Graziano Delrio
[5 novembre 2014] Caro Graziano,
grazie della risposta. Mi fa piacere che tu non abbia
dimenticato la nostra battaglia comune e tutti gli amici e le
associazioni coinvolte nella campagna L’Italia sono anch’io. Forse
hai ragione tu: è presto per dirsi delusi della legge di
cittadinanza. E senz’altro la speranza, anche la mia, è l’ultima
a morire.
La delusione nasce sempre da aspettative sbagliate, si dice.
D’altra parte, non mi pare siano aspettative del tutto campate in
aria: il testimonial politico numero uno di quella campagna, tu,
è ora al governo, è ministro, — è il braccio destro del capo del
governo, come si dice, — perciò credo che sia legittimo aspettarsi
qualcosa di più.
Come fanno Lamiaa e la sua famiglia e tutti i bambini, i ragazzi
e le famiglie come la sua, a non sentirsi delusi per l’annuncio di un
governo che rende invisibili i bambini nati in Italia da genitori
stranieri per ben 16 anni, invece che per 18 come ora?
Caro Graziano, ci scrivi di non essere delusi
e contemporaneamente ti dici convinto che «l’ottenimento della
cittadinanza al termine del ciclo dell’obbligo, a 16 anni, non
rappresenti assolutamente il cambio di passo necessario».
Dunque? Chi lo deve fare questo cambio di passo che, come tu
sottolinei, è ormai necessario? Scrivi: «Abbiamo sostenuto la
campagna per riformare la legge perché sappiamo che le ragazze e i
ragazzi di origine straniera e che vivono in Italia sono italiani
a tutti gli effetti, tranne che nei diritti». Ripeto: dunque? Chi deve
darglieli questi diritti?
Aggiungi: «Siamo solo all’inizio della parte più importante per
cambiare il diritto di cittadinanza; oggi ci sono tanti in
parlamento che hanno fatto con noi la battaglia e che la
continueranno a fare. Io sarò al loro fianco come sempre. Non ho
cambiato idea».
Tanti italiani hanno dato credito a questo governo e, a parole,
almeno sulla questione cittadinanza, io credo ancora a ogni parola
che tu dici e hai detto, Graziano.
Ma perché le parole non perdano il loro significato più vero, come sai meglio di me, occorre che seguano i fatti.
E i fatti devono essere conseguenti alle parole che si sono dette,
non devono essere altri fatti. E quei fatti devono accadere entro un
tempo ragionevole. Altrimenti le parole, anche le più belle,
rischiano di diventare vuote e inutili.
Li aspettiamo, quei fatti. Fatti, non annunci.
Per il bene dei tanti figli di immigrati e, sono sicuro, anche di questo vostro governo.
Giuseppe Caliceti
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