7 ott 2014

l’istruzione sacrificata sull’altare della troika (di a. angelucci)

Tra­sfor­ma­zione del Senato, legge elet­to­rale, jobs act, arti­colo 18, riforma della scuola: è un unico campo di bat­ta­glia su cui si stanno dise­gnando le sorti future del nostro Paese. Il Governo intende chie­dere la fidu­cia sulla riforma del lavoro per pre­sen­tarsi in Europa più rea­li­sta del re. Per mostrare in Europa che l’Italia è capace di liqui­dare diritti fon­da­men­tali con un colpo di spu­gna, in nome dell’ideologia neo­li­be­ri­sta impo­sta dalla Troika e per­fet­ta­mente intro­iet­tata da que­sto ese­cu­tivo. Non è pos­si­bile che ci sia ancora chi non veda, nel qua­dro com­ples­sivo di que­ste mano­vre, il rischio gra­vis­simo di una per­dita di libertà e demo­cra­zia tout court per l’Italia.
Fino a che punto que­sto pre­mier, que­sto ese­cu­tivo e que­sto Pre­si­dente della Repub­blica potranno for­zare il limite delle pro­ce­dure isti­tu­zio­nali in nome di una gover­na­bi­lità che tiene in vita una mag­gio­ranza poli­ti­ca­mente ille­git­tima che a breve, se non ci oppo­niamo in Par­la­mento e nelle piazze, «asfal­terà» tutte le garan­zie costi­tu­zio­nali? Fino a che punto potranno pat­teg­giare le con­qui­ste demo­cra­ti­che dei lavo­ra­tori e dei cit­ta­dini con il mar­gine di fles­si­bi­lità chie­sto a Bru­xel­les?
Il mondo della scuola, vili­pesa e ferita da tagli inso­ste­ni­bili e sot­to­po­sta al costante ricatto della pri­va­tiz­za­zione, sta alzando la schiena.
Per­ché a scuola vige ancora la libertà di inse­gna­mento, di appren­di­mento, di pen­siero cri­tico e di parola. Ed è nelle aule delle scuole che docenti e stu­denti, insieme, stanno ricom­po­nendo tutti i tas­selli del dise­gno rea­zio­na­rio con cui si pre­fi­gura il nuovo modello di società impo­sto dal capi­ta­li­smo glo­bale, fatto pro­prio dall’Unione euro­pea — che non è l’Europa dei padri fon­da­tori — e da que­sto Governo. Una  società pira­mi­dale, for­te­mente gerar­chiz­zata e pri­vata dei diritti fon­da­men­tali, domi­nata dal mer­cato e dall’ideologia del pro­fitto. Una società neo­feu­dale. Il piano scuola, pre­sen­tato da Mat­teo Renzi in un video tele­vi­sivo come nella migliore tra­di­zione ber­lu­sco­niana e sot­to­po­sto a una finta con­sul­ta­zione tele­ma­tica con­trol­lata dal Mini­stero (un mega­quiz invalsi per tutti gli ita­liani), che tra­sforma la scuola in azienda, che destrut­tura il con­tratto col­let­tivo nazio­nale e rende i docenti dipen­denti del preside-manager, a chia­mata diretta, non è sem­pli­ce­mente una pro­po­sta da cri­ti­care argo­men­tando. Rap­pre­senta una pro­vo­ca­zione inac­cet­ta­bile. E men­tre alcuni sin­da­cati col­laterali cin­ci­schiano di pos­si­bili emen­da­menti, il mondo della scuola lo respinge al mit­tente, denun­ciando il dema­go­gico, enfa­tico richiamo all’ascolto come pura finzione.
Se ci fosse dav­vero ascolto, se ci fosse inte­resse auten­tico, Renzi e il suo ese­cu­tivo saprebbero che una riforma della scuola ade­rente ai prin­cipi costi­tu­zio­nali c’è già, dal 2006, ed è la legge di ini­zia­tiva popo­lare “Per una buona scuola per la Repub­blica”. Frutto di un vero impe­gno con­di­viso, ela­bo­rata dal basso, da chi nella scuola ci vive, sot­to­scritta da 100.000 elet­tori cer­ti­fi­cati, il ddl n. 1583 al Senato e n. 2630 alla Camera è pronto per il suo iter par­la­men­tare, l’unico legit­timo. Essa impe­gna l’investimento costante del 6% del PIL nell’istruzione pub­blica; ridi­se­gna l’offerta for­ma­tiva sta­tale ai sensi degli artt. 33 e 34 della Costi­tu­zione, pro­po­nendo un bien­nio uni­ta­rio e un trien­nio d’indirizzo, anti­ci­pando l’obbligo sco­la­stico al terzo anno della scuola dell’infanzia fino ai 18 anni; indica pun­tuali forme di soste­gno per l’integrazione sco­la­stica degli alunni con disa­bi­lità, con biso­gni spe­ciali e per i migranti.
Impone un piano straor­di­na­rio reale per l’edilizia sco­la­stica e ripro­pone il tempo pieno e le com­pre­senze, testi­mo­niando una pro­fonda atten­zione per la dimen­sione peda­go­gica della scuola, che trova nella costante atti­vità degli organi col­le­giali di rifles­sione e valu­ta­zione dei pro­cessi for­ma­tivi, forme effi­caci e con­di­vise di auto­con­trollo del suo ope­rato e di ren­di­con­ta­zione sociale. La riforma della scuola decli­nata da Renzi si muove in una dire­zione dia­me­tral­mente oppo­sta: getta la scuola sta­tale in pasto al mer­cato, tra­sfor­mando i diri­genti in pro­cac­cia­tori di fondi e cac­cia­tori di teste; mette le scuole in com­pe­ti­zione tra loro, come nella peg­giore tra­di­zione ame­ri­cana e anglo­sas­sone; deforma la fun­zione docente in una grot­te­sca sele­zione dar­wi­niana per gene­rare «i più adatti», quei «buoni» docenti che pro­dur­ranno «buoni» cit­ta­dini: incon­sa­pe­voli, mani­po­la­bili, ricat­ta­bili, pri­vati della capa­cità di capire e della pos­si­bi­lità di sce­gliere. La posta in gioco è, dun­que, altis­sima: in que­sto grave momento di emer­genza demo­cra­tica, la scuola fa l’appello. A tutte le forze intel­let­tuali del nostro Paese – cit­ta­dini, movi­menti, asso­cia­zioni, mag­gio­ranze e mino­ranze dei sin­da­cati e dei par­titi – che si uni­scano in un fronte comune e si fac­ciano pro­mo­tori e baluardo, attra­verso l’adesione alla nostra pro­po­sta di legge per la scuola della Repub­blica e la costru­zione di un fronte di difesa dei diritti irri­nun­cia­bili, della lotta per la Costi­tu­zione e la demo­cra­zia nel nostro Paese.
Anna Angelucci, 6.10.2014, il manifesto
Asso­cia­zione «Per la scuola della Repubblica»

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