Il resoconto del discorso del premier sulla Scuola al Senato per il voto di fiducia il 24 febbraio 2014
Sappiamo come sono andate le
elezioni. Oggi proponiamo di essere nelle condizioni di valutare una
scelta politica. Non vi sorprenderà il fatto che in questo Governo sono
rappresentati i segretari dei maggiori partiti, perché questo è un
Governo politico e noi pensiamo che la parola «politica» non sia una
parolaccia. Noi pensiamo di poter andare nelle
piazze a dire che la politica che noi abbiamo in testa è reale, vera e
precisa. Noi pensiamo che non ci sia politica alcuna che non parta dalla
centralità della scuola.
Mi piacerebbe che chi ha la
presunzione di avere la verità in tasca avesse la possibilità di
confrontarsi con le insegnanti delle scuole e le famiglie nella loro
vita di tutti i giorni, perché l'idea che da questa parte ci sia la
casta e dall'altra ci siano i cittadini si è un po' rovesciata. Lo dico a
una parte di questo Parlamento. Chi di noi
tutti i giorni ha incontrato cittadini, insegnanti, educatori e mamme sa
perfettamente che c'è una bellissima e straordinaria richiesta che è
duplice. Da un lato si chiede di restituire valore sociale
all'insegnante, e questo non ha bisogno di alcuna riforma, ma di un
cambio di forma mentis.
(Omissis)
Qual è la priorità che questo Paese
ha nei confronti degli insegnanti? Sicuramente lo sa il Ministro
dell'istruzione e dell'università: coinvolgere dal basso in ogni
processo di riforma gli operatori della scuola. Non c'è dubbio. Ma c'è
una priorità a monte: recuperare quella fiducia, quella credibilità,
recuperare quella dimensione per cui se qui si fanno le cose, allora
nelle scuole si può tornare a credere che l'educazione sia davvero il
motore dello sviluppo. Ci sono fior di studi di economisti che
dimostrano come un territorio che investe in capitale umano, in
educazione, in istruzione pubblica è un territorio più forte rispetto
agli altri.
Da Presidente del Consiglio io
entrerò nelle scuole, una volta ottenuta - se così sarà - la fiducia dal
Senato e dalla Camera. Mercoledì mattina, come faccio tutte le
settimane, mi recherò in una scuola (la prima sarà un istituto di
Treviso, perché ho scelto di partire dal Nord-Est, mentre la settimana
prossima andrò in una scuola del Sud), e lo farò perché penso che sia
fondamentale che il Governo non stia soltanto a Roma, e quindi mi
recherò nelle scuole, come facevo da sindaco, per dare un segnale
simbolico, se volete persino banale, per dimostrare che da lì riparte un
Paese. Dalla capacità di educare, di tirare via, di tirare fuori (nel
senso latino del termine) nasce la credibilità di un Paese, ma per farlo
c'è bisogno della capacità di garantire una concretezza amministrativa.
Con quale credibilità possiamo dire
questo se continuiamo a tenere gli investimenti nell'edilizia scolastica
bloccati da un Patto di stabilità interno che almeno su questa parte va
cambiato subito? Come si può pensare che il Comune, la Provincia
abbiano competenza sull'edilizia scolastica senza però avere la
possibilità di spendere soldi che sono lì bloccati perché esistono norme
che si preoccupano della stabilità burocratica ma non si rendono conto
della stabilità delle aule in cui vanno a studiare i nostri figli?
Come è possibile che non ci sia chiarezza su questo aspetto?
Domani scriverò una lettera ai miei
colleghi sindaci, oltre 8.000, per chiedere a tutti loro e ai Presidenti
delle Province sopravvissuti di fare il
punto della situazione sull'edilizia scolastica, seguendo un bellissimo
ragionamento del senatore Renzo Piano. Non so chi di voi ha avuto modo
di conoscere le parole, a mio giudizio straordinarie, che Renzo Piano ha
pronunciato pochi giorni fa in un'intervista. Piano ha invitato a
rammendare i nostri territori, a rammendare le periferie. Credo sia
un'espressione molto bella, che dà il senso di ciò di cui abbiamo
bisogno. Noi abbiamo bisogno di intervenire nell'edilizia scolastica dal
15 giugno al 15 settembre, con un programma straordinario - dell'ordine
di qualche miliardo di euro, e non di qualche decina di milioni - da
attuare sui singoli territori, partendo dalle richieste dei sindaci e
intervenendo in modo concreto e puntuale. Ma come? Di fronte alla crisi
economica parti dalle scuole? Sì: di fronte alla crisi economica non
puoi non partire dalle scuole. Di fronte alla crisi economica partire
dalle scuole significa partire, innanzitutto, da una tregua educativa
con le famiglie e da un intervento nell'edilizia e nella
infrastrutturazione scolastica su cui, nelle prossime settimane, vedrete
concreti risultati.
È chiaro che il tema della scuola è
parziale rispetto al grande tema dell'educazione. Si inizia con gli
asili nido. Gli Obiettivi di Lisbona vedono oggi un Paese
drammaticamente diviso in due, tra una parte dell'Italia che ha già
raggiunto quegli obiettivi (con alcune città che stanno sopra il 40 per
cento) e una parte dell'Italia che veleggia su percentuali drammatiche.
Alcune non arrivano neanche a doppia cifra: mi riferisco al numero dei
bambini che frequentano gli asili nido.
Non è un tema da addetti ai lavori. È
il tema vero nella vita di tutti i giorni. È
il tema che si collega non necessariamente, ma parzialmente, al fatto
che abbiamo la condizione di disoccupazione femminile più alta d'Europa.
Ed è inaccettabile in una cornice come quella in cui stiamo vivendo. È
un tema che si collega al fatto che un bambino che non frequenta l'asilo
nido ha un'occasione in meno rispetto a un suo coetaneo di un altro
Paese.
Però, non vorrei che questo facesse
venir meno un giudizio sulle priorità che riguardano la condizione
economica. Metto a verbale che la scuola è il punto di partenza, e
intervengo sulle quattro riforme che vi proponiamo, che vi proporremo
nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, e la cui urgenza è
l'elemento che detta la scansione temporale dei prossimi mesi e dei
prossimi anni, e anche il cambio che noi abbiamo fatto all'interno del
Governo.
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