Qualche giorno fa, il quotidiano Repubblica ha pubblicato un articolo di Raffaele Simone, “Se a scuola internet rende stupidi” [leggi], nel quale si sollevano dubbi sulla reale utilità delle risorse tecnologiche nella scuola.
Simone contesta l’auspicio del Ministro dell'Istruzione Francesco Profumo di una scuola “più moderna e visionaria” che si avvicini al web 2.0. Una scuola che tenga i costi a zero per le famiglie e offra agli studenti il sapere e le informazioni attraverso gli strumenti più innovativi: internet, libri digitali sul modello wiki e tablet.
L’articolo, che offre interessanti spunti di riflessione, ma le motivazioni a sostegno (“la lavagna interattiva è un grande display che sembra una lavagna”, il tablet spinge facilmente a credere che apra finestre su un mondo illimitato”, la cultura digitale “è uno dei più temibili moventi di interruzione della concentrazione che si siano mai presentati nella storia”) appaiono deboli o poco argomentate.
L’autore segnala a sostegno delle sue tesi un paio di libri. Di uno di questi “Confessioni di un eretico high-tech. Perché i computer nelle scuole non servono” è autore Stoll Clifford (edito da Garzanti, 2001/2004, 192 pagine, la postfazione è dello stesso Raffaele Simone) (purtroppo il libro sembra fuori catalogo).
Clifford Stoll (1951) è professore di astronomia a Berkeley, ma è anche uno dei commentatori più autorevoli sullo sviluppo della rete.
Non può essere accusato di tecnofobia, poiché usa abitualmente i computer, li sa programmare, vive con loro.
Stoll parte dall’opinione comune che le nuove tecnologie risolveranno i drammatici problemi della scuola. La parola d'ordine di questa rivoluzione è: «Un computer su ogni banco». Il miracolo è garantito, gli studenti devono imparare a vivere in un mondo fatto più di bit che di cose. Ma Clifford Stoll ha qualche dubbio in proposito e si diverte a demolire diversi luoghi comuni. A un buon insegnante non servono mouse ed e-mail: sono più importanti il contatto umano con lo studente, il rapporto costante con la classe, condividere un'esperienza e un percorso comuni, immersi nella stessa realtà. La scuola, e quindi il futuro della società, sono troppo importanti per essere affidati ai fanatici delle neo-tecnologie, ai fabbricanti di computer e software, ai loro esperti di marketing.
Scrive Stoll: "Chi insegnerà ai nostri ragazzi il linguaggio (quello vero, non quello di word) quando sarà ormai troppo tardi? Chi spiegherà loro che cosa sono la logica e la matematica, quando avranno ormai acquisito che i problemi forse, si risolvono schiacciando un tasto? Come faranno a conoscersi e a incontrarsi, usciti da una chat room? E come la mettiamo col senso critico, con l'ironia?"
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