Formazione.
Le scuole primarie tra innovazione della didattica e tagli di bilancio.
La proposta finlandese di abolire l’insegnamento in base alle materie
disciplinari riapre la discussione sullo stato dell’arte della
situazione della scuola italiana (Andrea Capocci, il manifesto, 25.3.2015)
Basta
con le materie. Non si andrà più a lezione di matematica, storia,
inglese e così via. Si studierà per argomenti interdisciplinari
come «Il tempo in Europa», in cui le lingue straniere e la geografia
si imparano nella stessa ora.
Dove
succederà? In Finlandia, la «solita» Finlandia. Ormai nelle
scuola la chiamano così. Perché ogni volta che si discute di come
migliorare le nostre scuole, c’è sempre qualcuno che cita il paese di
Babbo Natale come modello da seguire. Da anni, gli alunni finlandesi
si piazzano ai primi posti delle classifiche mondiali per livelli
di apprendimento, mentre i nostri arrancano nelle posizioni
medio-basse. Le scuole finlandesi sono diventate meta di
pellegrinaggio per gli esperti di didattica di tutto il mondo, alla
ricerca dell’arma segreta.
I
soldi, certo, contano. La Finlandia investe nell’istruzione circa
il 7 per cento del Pil, contro il 4 per cento dell’Italia. Ma in
termini assoluti non ci sono grandi differenze: se si esaminano
gli investimenti per studente escludendo l’università, entrambi i
paesi sono allineati nei pressi della media Osce. Se si osserva
l’organizzazione del sistema, invece, le distanze aumentano
Le
scuole finlandesi sono piccole, gestite in grande autonomia ma con
un clima collaborativo tra docenti, presidi, alunni e famiglie.
Niente test Invalsi e massima libertà sulla definizione dei
programmi di studio.
Dalle conoscenze alle competenze
Talvolta
può ricordare la scuola «Marylin Monroe» del film «Bianca» di Nanni
Moretti. Per esempio la decisione di abbandonare l’insegnamento
della scrittura a mano in favore della tastiera del computer a molti è
sembrato un inutile nuovismo. Anche la nuova proposta di abolire
le materie non riscuote apprezzamenti unanimi nella stessa
Finlandia. Ma il governo non ha fretta: del resto, ogni cambiamento,
sin dalla riforma del 1972 da cui è partito il rilancio finlandese, è
stato attuato con estrema gradualità e costanza.
In
realtà, l’innovazione di cui si sta discutendo oggi non è poi così
rivoluzionaria. Persino in Italia, i famigerati programmi
ministeriali sono stati aboliti già nel 2010 dalla riforma Gelmini,
in favore di più flessibili «indicazioni nazionali». La riforma
poneva l’accento sullo sviluppo e la valutazione delle «competenze»
degli studenti, più
che delle «conoscenze». Non è solo un gioco di parole. Secondo la
ricerca didattica contemporanea (che si basa in gran parte sul
«costruttivismo» di John Dewey, elaborato anni Trenta del
Novecento), le competenze si possono valutare solo quando le
conoscenze vengono applicate in contesti autentici, ad esempio
nello studio di un problema tecnico concreto. Ma per essere
autentico, un contesto deve necessariamente essere
interdisciplinare, perché la realtà in genere si presenta
simultaneamente sotto diversi punti di vista. Da questa riflessione
nasce la proposta di superare la scansione tradizionale delle
materie, da rimpiazzare con «unità di apprendimento»
interdisciplinari.
A
ben guardare, nella lodatissima scuola primaria italiana questo
approccio è sempre stato ampiamente adottato, complice anche il
ridotto numero di docenti per classe. Le aule dei nostri bambini sono
piene di cartelloni su temi come «l’acqua» o «il terremoto»,
affrontati da diverse angolature e solitamente con lavori di
gruppo. Non a caso, quando a Tullio De Mauro (linguista, studioso
dei sistemi educativi ed ex-ministro dell’istruzione) è stato chiesto
un parere su #labuonascuola, si è limitato a dire: «Renzi copi la
primaria».
Agli
insegnanti italiani, tuttavia, la riforma Gelmini è risultata
indigesta perché qualunque innovazione didattica, accompagnata
da tagli pesantissimi al bilancio delle scuole (otto miliardi in
meno), è destinata a fallire. Le «unità di apprendimento», dunque,
sono ancora poco diffuse e la valutazione delle competenze si
limita per lo più a qualche crocetta apposta a fine scrutinio. Le
sperimentazioni didattiche, dunque, sono per lo più autogestite
dai docenti volenterosi e fanno fatica a diventare sistematiche.
In Finlandia, gli insegnanti disposti a tentare nuove strade
ricevono aumenti di salario.
Il bluff delle classifiche
Per altro, sull’efficacia di queste innovazioni vi sono anche dubbi legittimi. Lo storico della matematica Giorgio Israel, che pure ha collaborato con Mariastella Gelmini, ha parlato apertamente di «bluff», a proposito delle performance degli studenti finlandesi. «Le classifiche Ocse-Pisa dicono soltanto una verità parziale circa le abilità matematiche dei bambini finlandesi» mentre «le conoscenze matematiche dei nuovi studenti hanno subito un declino drammatico». Gli studenti finlandesi di oggi, infatti, fanno fatica a rispondere ai quesiti che venivano somministrati loro trent’anni fa. Dunque, i risultati sbandierati dipendono da come sono elaborati i test, che invece vengono spacciati per oggettivi. Basta parlare di scuola, e anche la matematica diventa un’opinione.Andrea Capocci, il manifesto, 25.3.2015
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