Nel numero 4/2014 della rivista
Conflitti la lettera aperta di Daniele Novara, pedagogista, direttore del Centro
Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei
conflitti, al Presidente del Consiglio Matteo
Renzi
Caro Presidente Matteo
Renzi,
aver messo in agenda, con il dovuto rilievo, la necessità di una buona scuola è un passo importante per invertire la tendenza governativa degli ultimi anni volta a mortificare la qualità del sistema scolastico italiano.
Le conseguenze di questi ultimi anni sono sotto gli occhi di tutti, bastano tre dati per rendersi conto della tragedia della scuola italiana:
aver messo in agenda, con il dovuto rilievo, la necessità di una buona scuola è un passo importante per invertire la tendenza governativa degli ultimi anni volta a mortificare la qualità del sistema scolastico italiano.
Le conseguenze di questi ultimi anni sono sotto gli occhi di tutti, bastano tre dati per rendersi conto della tragedia della scuola italiana:
- l’abbandono scolastico non è mai arretrato stabilizzandosi su percentuali comunque elevatissime
- ogni anno aumenta la diagnostica medico sanitaria degli alunni (le classi elementari con un bambino su tre diagnosticato sono ormai nella norma)
- la drastica diminuzione dei numeri dei laureati italiani in assoluta controtendenza europea.
O la scuola
è di qualità o è dannosa. Purtroppo non ci sono mezze
misure. Senz’altro la buona scuola non la fanno le nuove
tecnologie. La didattica digitale sembra più
l’invenzione del marketing che una vera necessità
scolastica. Specialmente i bambini, per tutta
l’infanzia, hanno bisogno di esperienze concrete,
sensoriali e anche motorie.
Per loro è meglio un gesso alla lavagna che un ennesimo video schermo in forma di LIM, meglio un quaderno dove passare il segno della biro piuttosto che una tastiera dove pigiare un unico dito, meglio un libro da sfogliare che un tablet su cui trascinare un pollice.
Le ricerche scientifiche hanno abbondantemente fatto piazza pulita di queste mitologie degli estremisti della new economy. Se vuole può leggersi il libro del neuro scienziato tedesco Manfred Spitzer Demenza digitale, ma non guasta ricordarle che lo stesso Steve Jobs aveva interdetto ai suoi bambini l’uso del computer in famiglia.
Non è certo nostalgia del passato ma la consapevolezza scientifica che ogni età ha le sue necessità evolutive e nell’infanzia si impara di più nell’esperienza concreta e tangibile piuttosto che davanti a uno schermo. Perlomeno mettiamoci misura e rispetto. La furia digitale non produrrà mai un vero miglioramento della scuola.
Insista viceversa sulla formazione pedagogica degli insegnanti che comprenda le metodologie didattiche, la relazione educativa, le conoscenze psicoevolutive degli alunni. Tutte le ricerche internazionali continuano a dimostrare che una buona scuola vuol dire buoni insegnanti preparati non solo nelle discipline ma specialmente nei metodi di apprendimento, nella capacità di sviluppare e liberare le risorse degli alunni piuttosto che imbrigliarle in sterili e precoci valutazioni.
Per loro è meglio un gesso alla lavagna che un ennesimo video schermo in forma di LIM, meglio un quaderno dove passare il segno della biro piuttosto che una tastiera dove pigiare un unico dito, meglio un libro da sfogliare che un tablet su cui trascinare un pollice.
Le ricerche scientifiche hanno abbondantemente fatto piazza pulita di queste mitologie degli estremisti della new economy. Se vuole può leggersi il libro del neuro scienziato tedesco Manfred Spitzer Demenza digitale, ma non guasta ricordarle che lo stesso Steve Jobs aveva interdetto ai suoi bambini l’uso del computer in famiglia.
Non è certo nostalgia del passato ma la consapevolezza scientifica che ogni età ha le sue necessità evolutive e nell’infanzia si impara di più nell’esperienza concreta e tangibile piuttosto che davanti a uno schermo. Perlomeno mettiamoci misura e rispetto. La furia digitale non produrrà mai un vero miglioramento della scuola.
Insista viceversa sulla formazione pedagogica degli insegnanti che comprenda le metodologie didattiche, la relazione educativa, le conoscenze psicoevolutive degli alunni. Tutte le ricerche internazionali continuano a dimostrare che una buona scuola vuol dire buoni insegnanti preparati non solo nelle discipline ma specialmente nei metodi di apprendimento, nella capacità di sviluppare e liberare le risorse degli alunni piuttosto che imbrigliarle in sterili e precoci valutazioni.
Qualcosa si
può fare subito e anche a costo zero:
- togliere i voti numerici nella scuola dell’obbligo, ripristinati disgraziatamente 3 anni fa
- rendere effettiva la co-titolarità dell’insegnante di sostegno sulla classe in modo da rafforzare il lavoro d’equipe e la condivisione dei processi educativi fra gli insegnanti
- sospendere le prove Invalsi: non garantiscono in nessun modo una vera valutazione in quanto fotografano semplicemente l’alunno sulla base di una risposta esatta, uno dei metodi più arcaici e discutibili per verificare gli apprendimenti
- tornare a considerare la scuola un’istituzione educativa che pertanto non può essere arbitrariamente sottoposta a norme sanitarie e di sicurezza che interferiscono sul normale funzionamento delle attività didattiche (disposizione dei banchi, allestimento delle pareti dell’aula, utilizzo degli spazi comuni per l’intervallo, ecc…)
Saper fare le mosse giuste e cogliere le priorità è compito della politica.
La buona scuola ha bisogno pertanto di una buona politica!
Daniele Novara, pedagogista
Direttore CPP (Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti)
daniele.novara@cppp.it
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