9 mar 2016

intervista a cesare moreno, presidente di "maestri di strada" (a cura di adventerra)

Maestri di Strada è un’associazione di Napoli che opera contro l’abbandono scolastico e per coinvolgere i ragazzi in contesti complessi con progetti educativi. Distribuisce in città il progetto di Adventerra “Anna e Michele nel paese di Quelchevuoitu” per educare i bambini ad un’alimentazione sana. L’intervista al presidente di Maestri di Strada, Cesare Moreno, a cura di Adventerra.



Quali sono i risultati che Maestri di Strada è riuscita ad ottenere sul territorio?

Grandi risultati con i giovani: giovani di scuola media che hanno utilizzato la scuola e i maestri di strada per crescere, giovani che non hanno abbandonato la scuola superiore al primo anno. Ci sono stati anche molti per cui il nostro lavoro è stato inefficace bisogna dirlo perché per molte situazioni l’azione di una sola struttura è inefficace. Ma la cosa di cui siamo più soddisfatti è che cresce il numero dei giovani che continua a restare in contatto con i maestri di strada e crescono come cittadini attivi ed intraprendenti. Grandi risultati anche nell’impiego di giovani professionisti non occupati nel lavoro educativo con i più giovani: sta crescendo una comunità di giovani che si aiutano reciprocamente, una maggiore solidarietà tra le diverse classi di età, una voglia di iniziativa senza attesa rispetto ad un sistema economico e di potere che dimostra in ogni modo di non amare i giovani.

Quanto è grave oggi, in Italia e a Napoli, il fenomeno dell’abbandono scolastico?

Il fenomeno è gravissimo e va molto oltre i numeri che vengono dati: c’è un abbandono ‘interno’ alle classi, interno alla psiche individuale che non temo di dire coinvolge tutti gli studenti italiani a cui noi offriamo un mondo in cui non c’è posto per loro e spesso non c’è posto per la speranza. La partita decisiva non è recuperare i giovani che lasciano la scuola ma recuperare tutti i giovani che hanno abbandonato in un modo o in un altro la speranza e il desiderio di una crescita autentica.

Nella vostra associazione ci sono educatori giovani ma anche meno giovani, che con lo stesso entusiasmo cercano di migliorare il mondo. Il cambiamento è uno dei punti chiave del vostro lavoro di supporto, dato che quelli di “transizione” sono i momenti più delicati nella vita dei ragazzi: da quali punti può partire un cambiamento positivo?

Il punto di attacco di ogni nostro lavoro educativo è la relazione, ossia che si stabilisca con i giovani una relazione di amicizia, che non è quella dell’adulto amichetto che civetta coi giovani, ma l’amicizia che i filosofi antichi ritenevano alla sommità delle relazioni umane: quella solidarietà umana che ci fa riconoscere nell’altro ciò che noi stessi viviamo ed innanzi tutto il disagio connesso al processo di trasformazione della natura puramente biologica e naturale dell’uomo in soggetto sociale, parte fondante di una cultura. Perché sottolineare questo? Perché l’istituzione scolastica occidentale è basata sul rapporto tra puri spiriti, tra menti già razionali, e trascura del tutto ‘il cuore’ delle persone. Ogni degenerazione individuale del rapporto di cura ed educativa che noi riscontriamo nella suola e nelle relazioni sociali ha origine da un ‘errore sistematico’ fondante del sistema di istruzione. Sul riconoscimento dell’altro e del suo umano disagio – che è a monte del disagio sociale – è fondata l’alleanza educativa tra educatori e giovani.

Immagino molti ragazzi nei quartieri difficili trovino una fonte di “welfare” ed un “sistema di valori” alternativo nei clan: qual è la portata del fenomeno e voi come cercate di contrastarlo?

Noi facciamo vivere ai giovani una relazione umana autentica dentro cui possono crescere e diventare padroni di sé. La nostra idea è che in generale non è la camorra ad attrarre i giovani, ma siamo noi a spingerli nelle sue braccia. I giovani hanno una conoscenza diretta dello schifo della vita camorristica, non hanno bisogno che lo spieghiamo noi, bisogna che gli facciamo sperimentare e vivere delle relazioni realmente accoglienti e protettive. Insomma le prediche non servono e rigirano il coltello nella piaga. I nostri giovani vivono ogni giorno una doppia legge: quella della solidarietà umana e quella della violenza e della pena di morte e la stragrande maggioranza di loro sceglie la vita civile, e non c’è bisogno dei maestri di strada per fare questo. Se una parte dei giovani sceglie il sistema criminale in realtà è perché ne è rimasto prigioniero e la forza dei legami positivi è stata inadeguata. L’idea di troppi che le buone relazioni nelle scuole e nei luoghi educativi siano poi inficiate dal ‘ritorno a casa’ è una idea deterministica e anticulturale che vede la persona umana come un calco passivo delle strutture sociali. Questa idea è antieducativa ed anti umana. Purtroppo molti educatori la ripetono come una litania senza rendersi conto di quanto sia insensata.

L’educazione alimentare per i giovani è molto importante, in particolare per i bambini: come nasce la collaborazione con Adventerra?

La cattiva alimentazione dei nostri giovani è parte di una pessimo rapporto con il proprio corpo e di un pessimo rapporto con la propria psiche: molti giovani ingurgitano di tutto e non solo alimenti ma anche medicinali e poi anche sostanze psicotrope. In realtà non riescono a prendersi cura di sé: il tono muscolare e la presenza fisica sono sistematicamente depressi ed ingurgitare cibo è un surrogato dell’attività. La cattiva alimentazione è uno dei sintomi del malessere. Noi abbiamo affrontato questo punto come al solito in modo laboratoriale: il nostro laboratorio Terra Terra ricomincia dal luogo in cui il cibo si produce per far vivere ai giovani il senso di una alimentazione che serve a crescere e non a riempirsi. Il rapporto con Adventerra ne viene come conseguenza naturale.

Come vedi Napoli tra 20 anni?
Abbiamo fatto nostra la poesia di Danilo Dolci che dice: “sognare ciascuno come oggi non è, ciascuno cresce solo se sognato”. Possiamo trasferire questo slogan ad una città? Sarebbe necessario un sognatore collettivo che oggi non c’è e non è all’orizzonte, la politica locale e nazionale ha abbandonato da tempo non solo i sogni ma la capacità stessa di sognare. Noi stiamo cercando di coltivare piccoli gruppi di sognatori e tanti altri, molti di più di quello che si immagina, lo fanno in questa città. Tra venti anni spero che questi gruppi saranno più numerosi e più coscienti di sé cosicché la città possa presentarsi ‘a macchia di leopardo’ tra zone in cui prevalgono i sognatori e zone in cui prevalgono gli assatanati dell’oggi. Il mio sogno è che in questa mappa dei sognatori un posto importante lo abbiano le disgraziate periferie di questa disgraziata città.

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