Sono la madre di un ragazzo disabile con problemi motori, ma senza alcun
deficit cognitivo, che ha conseguito il diploma di scuola media con 10 e
lode e che vorrebbe continuare gli studi superiori. Ma dopo aver
presentato domanda d’iscrizione in varie scuole, ho ricevuto sempre il
consiglio paternalistico di ritirare la domanda poiché, a detta dei
dirigenti scolastici, mio figlio si sarebbe trovato di fronte a problemi
insormontabili, dovuti all’impreparazione della scuola ad affrontare
situazioni come la sua, all’inadeguatezza o all’inesperienza del corpo
docente. Anche gli insegnanti di sostegno non sarebbero preparati a
predisporre un percorso didattico adatto a uno studente con handicap
come quello di mio figlio, che, ripeto, non ha alcun deficit cognitivo.
Gli operatori scolastici che, “nell’interesse del discente e del suo
nucleo familiare”, mi hanno dissuaso dall’iscrivere mio figlio presso i
loro istituti sono vari: la scuola media Pluchinotta di Sant’Agata li
Battiati (tre anni fa), uno dei più prestigiosi licei scientifici di
Catania (quest’anno) e il Liceo Artistico statale M. M. Lazzaro di
Catania. La vicepreside e il responsabile al sostegno mi hanno indotto a
ritirare la domanda d’iscrizione adducendo “valide” argomentazioni
quali: “L’Arte non è una disciplina nella quale ognuno ha la possibilità
di esprimersi liberamente”, demolendo così la mia ingenua certezza che
attraverso l’espressione artistica si potesse superare ogni barriera di
rigidi canoni disciplinari e soprattutto mentali. A mio figlio sarebbe
stato negato anche l’uso dell’argilla perché mai avrebbe potuto
realizzare una bocca o un naso perfetti. Ho suggerito che sarebbe potuta
essere accettata anche una forma astratta di quella bocca, ma la
vicepreside inorridita mi ha risposto: “Ma no, sappi (sic.!) cara
signora che questa è una scuola ad indirizzo artistico! Non esiste la
libertà d’espressione. Adesso le abbiamo messo qualche dubbio, rifletta
se è il caso o no che suo figlio frequenti questa scuola”.
A questo
punto ho avuto seri dubbi, è vero. Non che mio figlio non sarebbe
riuscito a superare le difficoltà che il suo corpo gli impone, ma che
tutti questi rifiuti potessero ulteriormente ferirlo. Mi sembra tuttavia
incredibile che in un Paese che si dice civile, dove il diritto
all’istruzione è garantito per legge, possano verificarsi episodi come
quelli che ho descritto. Sono stanca di dover sempre dimostrare che mio
figlio non è cretino, che ha il diritto di andare a scuola, che non gli
si può negare nei fatti questo diritto. Vorrei poter gridare ciò che i
genitori di un disabile subiscono nella segretezza delle quattro mura di
una presidenza, in assenza di testimoni e senza l’arma concreta
dell’impugnabile verbalizzazione: “Suo figlio non può iscriversi a
questa scuola”. L’abilità retorica consiste nell’utilizzo di eufemismi,
di litoti, del non detto affinché tutto possa concludersi con la
fatidica frase: “Ma signora, è stato tutto un malinteso!”
Anna La Rosa
la Repubblica, 31 luglio 2013
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