E’ una non soluzione, solo un muro invisibile, un’ulteriore forma di discriminazione, non so se dettata dall’ignoranza o dalla pervicacia nel voler rendere difficile la vita alle persone immigrate, per non affrontare una sfida che ha bisogno di ben altri strumenti d’integrazione.
Chi di scuola si occupa perché ogni giorno la vive, sa quanto questo tema sia complesso a cominciare dal decidere chi è straniero. Non basta il colore, non basta il cognome o una data d’ingresso in Italia per essere definiti tali. Le difficoltà legate all’apprendimento della lingua si superano con una dotazione adeguata di insegnanti facilitatori, di laboratori interculturali capaci di valorizzare queste nuove ricchezze e veicolarle anche tra gli adulti .
A Milano, come pensiamo di poter mettere un tetto nelle classi delle zone di periferia dove vive la maggioranza delle persone neo arrivate? Come possiamo immaginare che chi ha figli in classi diverse, possa vedersi accolto un figlio sì e uno no ?
Dobbiamo forse immaginare pulmini di bambini stranieri che al mattino vengono dirottati in altre scuole della città? E di converso allora bambini di via della Spiga che si dirigono in periferia per compensare i banchi vuoti lasciati dai loro compagni “diversi “ che prenderanno il loro posto nelle scuole del centro?
In questi anni la politica dell’Assessore Moioli è sempre stata diretta a privilegiare l’iscrizione nelle scuole del bacino di appartenenza. Spero non cambierà opinione.
Prima di pensare a certe soluzioni bisognerebbe chiedersi come mai, in una zona ad alta densità di famiglie straniere, a 300 metri dalla scuola primaria statale di Via Paravia (con oltre il 90% di alunni stranieri), c’è una scuola primaria comunale, in via San Giusto, che ne accoglie solo il 6%.
Prima di costruire muri, abbattiamo quelli che ci sono.
Il consigliere comunale di Milano - Patrizia Quartieri (30 nov 2009)
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