La scuola ha chiamato la nonna di Luca, un ragazzo disabile, perché il nipote se l’è fatta addosso. La signora si precipita a scuola con l’occorrente, anche se salviette e ricambio stanno sempre nella cartella del nipote. Lo pulisce e lo cambia sotto gli occhi dell’assistente materiale, che sta lì in piedi, a braccia conserte, con uno sguardo tra severo e accigliato. L’assistente si rivolge alla signora facendole notare che è quasi mezzogiorno e le chiede se si porta via il nipote. E no - sbotta la nonna - c’è ancora un’ora e mezza di scuola; vengo a prenderlo alla fine delle lezioni. Mentre va via, già si pente per quello scatto. Sia chiaro, la signora ha energia e risorse per mettere in riga assistente materiale, insegnanti e preside. Teme per suo nipote. Non che lo maltrattino, ma che lo prendano in antipatia. A pensare, dice, che il mattino il papà lo obbliga a stare seduto sul water anche per un’ora. Proprio per evitare quell’inconveniente e soprattutto l’umiliazione al figlio. Insomma, tornando battagliera, chiede quali siano i compiti dell’assistente materiale. Una bella domanda. Che però dovrebbe essere preceduta da un’altra. Qual è il diritto allo studio dei ragazzi diversamente abili nel nostro paese.
Per principio occorre parlar bene della scuola pubblica, compresi quanti in essa lavorano, perché da anni è troppo maltrattata dai governanti, perché molti scaricano su di essa le proprie responsabilità e perché gli operatori fanno spesso più del loro dovere. Ma in situazioni come questa, una scuola diventa indifendibile: e con essa il dirigente, gli insegnanti, i bidelli e l’assistente materiale. Ci sono scuole, neanche poi in numero così insignificante, per le quali l’handicappato è merce preziosa quando si formano le classi, le cattedre e i posti, ma poi diventa un peso, un fastidio, perfino un elemento negativo per “l’appetibilità” sul territorio. Per avere più ore di sostegno alcune scuole sono pronte a fare carte false, salvo poi ad affidare agli insegnanti di sostegno i disabili perché li portino in qualche auletta o in giro per la scuola, purché fuori dalla classe. Gli insegnanti di sostegno, in gran numero precari, sono in genere preparati e formati, soprattutto da questa relazione speciale con i disabili e il loro mondo; ma purtroppo l’Amministrazione scolastica tenta di inquinare tale categoria con le riconversioni coatte di insegnanti in esubero, allettandoli con poche ore di corso e la prospettiva di una sede più stabile e vicino casa.
All’inizio delle lezioni, se non c’è l’assistente materiale, per i ragazzi più gravi neanche comincia l’anno scolastico. Manifestazioni e scioperi delle cooperative, con il sostegno di genitori e insegnanti, in genere portano alla stipula della convenzione. Poi, spesso, escono tutte le contraddizioni. Le persone, a volte, non sono tagliate per quel compito dell’assistenza materiale. Persone che si sono messe per sbarcare il lunario, ma poi ritengono umiliante quell’attività; più spesso persone “sprecate” in quella mansione. Magari hanno diplomi e lauree; si sono inseriti nella cooperativa per fare, che so, i sociologi o gli psicologi. Hanno un occhio rivolto alle aziende partecipate del comune che di tanto in tanto, miracolosamente, assorbono e stabilizzano qualcuno. S’interessano dei ragazzi diversamente abili loro affidati, ma sono negati per la mera assistenza materiale. In entrambi i casi, e non sono rari, il problema ritorna ai familiari dei disabili. I quali, come la stragrande maggioranza dei genitori, anche i più agguerriti e rivoluzionari, diventano moderati e prudenti nei contati con la scuola dei loro figli. Loro magari con qualche ragione in più.
Sull’integrazione dei ragazzi disabili la scuola si gioca la sua reputazione, e l’intero paese il grado di civiltà. Se pure, per assurdo, si dovessero fare altri tagli nell’istruzione, chiediamo di lasciare in pace i ragazzi disabili. E le scuole, nella programmazione e organizzazione delle loro attività, li tengano in grande considerazione. Parafrasando il celebre Quintiliano, potremmo dire: ”Si deve ai fanciulli disabili il massimo rispetto”. E magari anche alle loro nonne.
La scuola ha chiamato la nonna di Luca, un ragazzo disabile, perché il nipote se l’è fatta addosso. La signora si precipita a scuola con l’occorrente, anche se salviette e ricambio stanno sempre nella cartella del nipote. Lo pulisce e lo cambia sotto gli occhi dell’assistente materiale, che sta lì in piedi, a braccia conserte, con uno sguardo tra severo e accigliato. L’assistente si rivolge alla signora facendole notare che è quasi mezzogiorno e le chiede se si porta via il nipote. E no - sbotta la nonna - c’è ancora un’ora e mezza di scuola; vengo a prenderlo alla fine delle lezioni. Mentre va via, già si pente per quello scatto. Sia chiaro, la signora ha energia e risorse per mettere in riga assistente materiale, insegnanti e preside. Teme per suo nipote. Non che lo maltrattino, ma che lo prendano in antipatia. A pensare, dice, che il mattino il papà lo obbliga a stare seduto sul water anche per un’ora. Proprio per evitare quell’inconveniente e soprattutto l’umiliazione al figlio. Insomma, tornando battagliera, chiede quali siano i compiti dell’assistente materiale. Una bella domanda. Che però dovrebbe essere preceduta da un’altra. Qual è il diritto allo studio dei ragazzi diversamente abili nel nostro paese.
Per principio occorre parlar bene della scuola pubblica, compresi quanti in essa lavorano, perché da anni è troppo maltrattata dai governanti, perché molti scaricano su di essa le proprie responsabilità e perché gli operatori fanno spesso più del loro dovere. Ma in situazioni come questa, una scuola diventa indifendibile: e con essa il dirigente, gli insegnanti, i bidelli e l’assistente materiale. Ci sono scuole, neanche poi in numero così insignificante, per le quali l’handicappato è merce preziosa quando si formano le classi, le cattedre e i posti, ma poi diventa un peso, un fastidio, perfino un elemento negativo per “l’appetibilità” sul territorio. Per avere più ore di sostegno alcune scuole sono pronte a fare carte false, salvo poi ad affidare agli insegnanti di sostegno i disabili perché li portino in qualche auletta o in giro per la scuola, purché fuori dalla classe. Gli insegnanti di sostegno, in gran numero precari, sono in genere preparati e formati, soprattutto da questa relazione speciale con i disabili e il loro mondo; ma purtroppo l’Amministrazione scolastica tenta di inquinare tale categoria con le riconversioni coatte di insegnanti in esubero, allettandoli con poche ore di corso e la prospettiva di una sede più stabile e vicino casa.
All’inizio delle lezioni, se non c’è l’assistente materiale, per i ragazzi più gravi neanche comincia l’anno scolastico. Manifestazioni e scioperi delle cooperative, con il sostegno di genitori e insegnanti, in genere portano alla stipula della convenzione. Poi, spesso, escono tutte le contraddizioni. Le persone, a volte, non sono tagliate per quel compito dell’assistenza materiale. Persone che si sono messe per sbarcare il lunario, ma poi ritengono umiliante quell’attività; più spesso persone “sprecate” in quella mansione. Magari hanno diplomi e lauree; si sono inseriti nella cooperativa per fare, che so, i sociologi o gli psicologi. Hanno un occhio rivolto alle aziende partecipate del comune che di tanto in tanto, miracolosamente, assorbono e stabilizzano qualcuno. S’interessano dei ragazzi diversamente abili loro affidati, ma sono negati per la mera assistenza materiale. In entrambi i casi, e non sono rari, il problema ritorna ai familiari dei disabili. I quali, come la stragrande maggioranza dei genitori, anche i più agguerriti e rivoluzionari, diventano moderati e prudenti nei contati con la scuola dei loro figli. Loro magari con qualche ragione in più.
Sull’integrazione dei ragazzi disabili la scuola si gioca la sua reputazione, e l’intero paese il grado di civiltà. Se pure, per assurdo, si dovessero fare altri tagli nell’istruzione, chiediamo di lasciare in pace i ragazzi disabili. E le scuole, nella programmazione e organizzazione delle loro attività, li tengano in grande considerazione. Parafrasando il celebre Quintiliano, potremmo dire: ”Si deve ai fanciulli disabili il massimo rispetto”. E magari anche alle loro nonne.
Franco Buccino
Repubblica ed. Napoli - 24 febbraio 2012
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